Ne vogliamo parlare? Sì, ne vogliamo e ne dobbiamo parlare perché è successo un “successo”, la Mostra pittorica di Maria Tripoli al GAM. Donne, Dee e Madonne in una teoria di quadri che creano percorso senza che glielo si chieda dall’esterno, ognuno una via, una traversa, un vicolo mai cieco, un viale alberato, un avenue parigina, un arcobaleno sprizzato in un cielo che non è mai abbastanza.
Donne che evidenziano il proprio corpo senza curarsene, perché è di quello che sono fatte e traducono oggetti, forme, miti, circostanze con il filtro dei propri capelli e delle proprie vene.
Aracne sprigiona la ragnatela e ne indica a tutti chiaramente il punto di non ritorno, guardano Barbie e la tengono tra le mani come il giocattolo che è senza lasciarsi ingannare dall’inutile spazio limitato socialmente creato per ogni donna, quando è ben altro il pensiero. Visi chhiari, mai accartocciati, piuttosto carichi di sguardi lampanti di sfida per se stesse e per chi sappia raccogliere.
Donne, Dee madonne all’ombra del Vulcano Etna, raccolgono pupi in corazza dell’eterno guerriero e pupe nude dell’eterno femminino, impregnate dalla sfumatura maschile che questo rappresenta. Niente è definito fintanto che non lo si ripete ad alta voce, oppure tenendolo in mano e osservandolo intensamente, misteri volutamente irrisolti ma affascinanti da condividere, materiale geniale e semplice da recuperare, emozioni, colori, tempeste e bonacce di occhi e pelle, Meraviglioso incarnato di corpi che esplodono di presenza, che manifestano come striscioni elevati in un corteo per la difesa dei diritti civili, nessun pudore che serva da pretesto per sminuire le risposte da dare, perché non sono pretese, ma riconoscimenti.
Donne di spalle in viaggio, costantemente con un borsone colmo, di oggetti, rifiuti, speranze, aspirazione, volontà e sogni, certezze comuni e cadenzate come le mestruazioni mensili, rigenerate dalla rivelazione delle proprie capacità, dai sensi e dal sole caldo sulla pelle dopo un bagno nell’acqua del mare. Corpi asciutti che nuotano in una piscina, immersi nel fluido delle circostanze senza esserne annegate, ciocche di capelli che pare si siano colorate autonomamente durante la notte per aprire cancelli a nuovi destini.
Tele coperte, niente spazi da imporre col pensiero, Maria Tripoli e i fiati di queste donne che sono Le donne, ognuna diversa, ognuna più o meno consapevole, il magma dell’Etna la cui lava genera ginestra imperitura.
E gli eventi che hanno accompagnato la Mostra, la sfilata di modelli creati e realizzati dalle giovani e giovani studenti dell’Accademia, sapientemente guidate e guidati dalla professora Liliana Nigro, le poesie dense di rigore e possibilità di “eso-realtà” di Rita Coppa, e le altre poesie che le autrici hanno regalato ad un pubblico attento e partecipe, emozionato ed emozionante, sottolineate dagli interventi della straordinaria voce di Sachika Ito E dalle sapienti corde del Maestro Davide Sciacca. Per giungere al 30, per chiudere con un incontro che sembrava essere premeditato e invece, come anche nella logica maestra di Valentina Guia, si è dimostrato no un angolo ma uno spazio in divenire, di racconto, di poesia, di voce del pensiero e dell’inconscio di ognuna e ognuno dei partecipanti. Qualcuno schivo, qualcuno già consapevole sebbene in giovanissima età, qualcuna che filtrava analisi inconsapevoli del proprio e dell’altrui destino.
Arte che è la professione anche implicita, e tecnica che è il coraggio di dimostrarla.
Rossana Quattrocchi