La Traviata è l’ultima opera della triade Verdiana. Si tratta di tre opere (Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata), che hanno conferito al musicista di Busseto, la massima popolarità e dove egli raggiunge la maturità artistica.
La Traviata è tratta dal romanzo di Dumas figlio “ La Dame aux camélias”. Un romanzo che affonda la lama sull’ambiente della Parigi di ceto elevato di borghesi e nobili corrotti. Al centro di questo squallido ambiente Margherita Gautier, una mantenuta, e il giovane Armando Duval innamorato di lei.
Nessun compositore aveva mai osato trarre un’opera lirica da una commedia appena apparsa in teatro e con costumi, per quell’epoca, moderni. La censura, naturalmente, diede addosso al compositore, e gli impose di anticipare l’ambiente ai tempi del Re Sole.
L’opera inizia con un preludio. Le prime note suonate dai violini evocano la malattia di Violetta. Il tema si trasforma poi nelle note di “Amami Alfredo.
Violetta è reduce di una lunga malattia, che l’ha tenuta lontana dagli ambienti mondani solita a frequentare. Il primo atto si apre quindi in un’atmosfera festosa e frivola. La musica descrive abbastanza fedelmente questo ambiente.
Violetta civetta tra i personaggi. Scherza ora col barone, ora con Gastone. Emerge la sua fatuità.
Gli eventi si susseguono. Alfredo viene presentato da Gastone a Violetta; il barone Douphol comincia ad esternare la sua gelosia a Flora, amica di Violetta:
M’è increscioso quel giovin…
Segue poi il famoso brindisi, ma dopo Violetta ha un malore. È costretta a ritirarsi temporaneamente, ma Alfredo la segue. La rimprovera di non aver cura di sé e le dichiara i suoi sentimenti. Ma Violetta si beffa di lui:
Gli è vero!…
Sì grande amor dimenticato avea…
Se la musica di Verdi che finora ha accompagnato questa serie di eventi è stata di tipo galante, il clima cambia quando Alfredo le dichiara seriamente tutto il suo amore:
Un dì, felice, eterea,
mi balenaste innante,
e da quel dì tremante
vissi d’ignoto amor.
dell’universo intero,
misterioso, altero,
croce e delizia al cor.
Ma lei si difende con dei versi accompagnati da una serie di vocalizzi, che esprimono nuovamente la fatuità di questa donna, e risponde così:
Ah, se ciò è ver, fuggitemi
solo amistade io v’offro:
amar non so, né soffro
di così eroico ardor.
Io sono franca, ingenua;
altra cercar dovete;
non arduo troverete
dimenticarmi allor.
Tuttavia Violetta le dà una speranza e Alfredo è felice.
Gli invitati si congedano e la protagonista resta sola.
È turbata. Nessun uomo l’ha mai amata, e lei sente qualcosa.
I versi del recitativo esprimono palesemente gli impulsi nell’anima di lei.
È strano!… è strano!… in core
scolpiti ho quegli accenti!
Sarìa per mia sventura un serio amore?…
Che risolvi, o turbata anima mia?…
Null’uom ancora t’accendeva… o gioia
ch’io non conobbi, essere amata amando!…
E sdegnarla poss’io
per l’aride follie del viver mio?
Violetta insiste con dei malinconici versi, sull’innocenza perduta(ah forse è lui), ma poi si riprende.
È una donna sola, senza speranza di riscatto morale, e allora è meglio non pensarci più, e gioire finché
la tisi non la condurrà alla morte..
Follie!… follie!… delirio vano è questo!…
in quai sogni mi perdo,
povera donna, sola
abbandonata in questo
popoloso deserto
che appellano Parigi,
che spero or più?… che far degg’io?… Gioire,
di voluttà nei vortici finire.
Con i versi della cabaletta torna in maniera forzosa ad essere quella donna fatua, che non vuol rinunciare ad essere:
Sempre libera degg’io
Folleggiare di gioia in gioia,
Vo’ che scorra il viver mio
Pei sentieri del piacer
Nasca il giorno, il giorno muoia,
sempre me lieta ne’ ritrovi
A diletti sempre nuovi
Dee volare il mio pensier.
Versi vibranti ma tristi. Sono i pensieri di una donna senza speranza per una vita migliore. Ma allo stesso tempo, alla sua mente risuonano le parole di Alfredo:
Di quell’amor ch’è palpito.
Che fare allora? Morire nelle amenità di una vita frivola tra amanti e divertimenti o l’affettuosità di un uomo che l’ama davvero?
Violetta decide di vivere il suo sogno di amore.
Si ritira in campagna con Alfredo abbandonando quel mondo di amenità.
È in questi luoghi, che si svolge il secondo atto.
Alfredo esprime la sua felicità nel vivere con Violetta (Dè miei bollenti spiriti) ma viene subito riportato alla realtà dalla cameriera che tornando da Parigi gli rivela che Violetta sta vendendo tutti i suoi beni, per poter vivere fra gli agi in quei luoghi.
Alfredo si desta così da quel sopore e intona una cabaletta, che spesso viene omessa.
Al centro della prima parte del secondo atto è il duetto tra Germont e Violetta.
Germont, il padre di Alfredo, si presenta con tutta la sua alterigia a Violetta, cercando magari di metterla a disagio trattandola da cortigiana, ma lei risponde da vera dama, difendendo la propria dignità:
Donna son io, signore, ed in mia casa;
ch’io vi lasci assentite,
più per voi che per me.
L’atteggiamento di Germont cambia, ma deve perseguire il suo fine. I due devono lasciarsi. Germont le rivela di avere un’altra figlia che deve sposarsi, ma il promesso si rifiuta, se Alfredo non torna a casa. (Pura siccome un angelo)
Violetta acconsente di separarsi temporaneamente da Alfredo, ma a Germont non basta, vuole che rinunzi per sempre ad Alfredo, ma lei si oppone:
Non sapete quale affetto
vivo, immenso m’arda in petto?…
Che né amici, né parenti
io non conto tra’ viventi?…
E che Alfredo m’ha giurato
che in lui tutto io troverò?
Non sapete che colpita
d’atro morbo è la mia vita?
Che già presso il fin ne vedo?…
Ch’io mi separi da Alfredo?…
Ah, il supplizio è sì spietato,
che morir preferirò.
Germont, a questo punto, mostra tutta la sua crudeltà, e di fronte al diniego risponde:
Un dì, quando le veneri
il tempo avrà fugate,
fia presto il tedio a sorgere…
che sarà allor? Pensate…
Per voi non avran balsamo
i più soavi affetti;
poiché dal ciel non furono
tai nodi benedetti…
Ci troviamo, quindi, di fronte a un borghese ipocrita, che non si scompone di fronte alla sofferenza di lei. Violetta vede il suo sogno sfumare:
(Così alla misera, ch’è un dì caduta,
di più risorgere, speranza è muta!…
se pur benefico,le indulga iddio,
l’uomo implacabile, per lei sarà…)
Non le resta altro che acconsentire, mostrando di essere la vera nobile tra i due, rispondendo con una melodia accorata:
Dite alla giovine, sì bella e pura
ch’avvi una vittima, della sventura,
cui resta un unico, raggio di bene…
che a lei il sacrifica, e che morrà!
Ma chiede una grazia a Germont:
Morrò!… la mia memoria
non fia ch’ei maledica,
se le mie pene orribili
vi sia chi almen gli dica.
Conosca il sacrifizio
ch’io consumai d’amor
che sarà suo fin l’ultimo
sospiro del mio cor.
In tutto questo la musica di Verdi è davvero struggente e senza tanti effetti.
In questo tormento si conclude il duetto tra i due personaggi. Germont esce di scena, avendo ottenuto ciò che voleva, e Violetta resta sola.
Piangendo, scrive una lettera ad Alfredo. Dichiara che la vita in campagna non è per lei e vuole ritornare alla vita mondana di un tempo.
Violetta esce di scena congedandosi da Alfredo, dopo un commovente addio (“Amami Alfredo”).
Né Verdi, né il Piave, ma neanche Dumas, approfondiscono il comportamento di Alfredo, che resta indifferente di fronte a quell’appassionato congedo di Violetta. Non ha proprio capito nulla e inveirà dopo aver letto la lettera (mille serpi, mi divorano il petto). Cosa dire in fondo? La miseria del personaggio si commenta da sé.
Germont, cerca di consolare il figlio. (Di Provenza il mar, il suol). Si tratta di un pezzo privo di pathos, e se il cantante non è abbastanza bravo, il brano rischia di passare inosservato, come pure la cabaletta, che di solito viene omessa: “No, non udrai rimproveri”.
Alfredo trova fra le carte l’invito per una festa a casa di Flora e vi corre, inseguito dal padre.
La seconda parte del secondo atto si svolge a casa di Flora tra danze (Core delle zingarelle e dei mattatori), e inezie. Giunge Alfredo: il clima non muta.
La tensione inizia con l’arrivo di Violetta accompagnata dal barone Douphol. È l’orchestra che con un incalzante accordo di archi la provoca. Alfredo è accecato dalla gelosia; con una serie di battute allusive cerca di provocare il barone finché vi riesce. Il barone lo sfida al gioco, ma è Alfredo il vincitore. La tensione è al massimo.
Violetta cerca di porre rimedio e manda con un sevo un biglietto ad Alfredo. Vuole parlargli e pregarlo di abbandonare quei luoghi. Ma ormai l’irreparabile deve accadere.
Alfredo è disposto ad allontanarsi, ma ad una condizione: che lei lo segua. Al rifiuto di Violetta, sempre più accecato dalla gelosia chiama tutti a raccolta.
È questa la scena madre del secondo atto:
Ogni suo aver tal femmina
per amor mio sperdea…
io cieco, vile, misero,
tutto accettar potea.
Ma è tempo ancora, tergermi
da tanta macchia bramo…
qui testimoni vi chiamo,
ch’ora pagata io l’ho.
Getta con furente sprezzo una borsa ai piè di Violetta, che sviene tra le braccia di Flora e del Dottore.
Germont, che arriva in quel momento, rimprovera aspramente il figlio per la abbietta azione commessa. Il secondo atto si conclude con un concertato che stempera la tensione fino adesso accumulata. Il barone sfida a duello Alfredo. Violetta giace su un sofà assistita dal Dottore e dall’amica Flora.
Il preludio del terzo atto inizia con gli stessi accordi di violini del primo, ma poi continua sullo stesso ritmo funereo. È come se la musica anticipasse la trama dell’ultimo atto.
Violetta, dopo aver letto chissà quante volte la lettera inviata da Germont, che annuncia il ritorno di Alfredo e una sua visita esclama:
È tardi!
Attendo, attendo… né a me giungon mai!…
È consapevole che la morte si avvicina.
Addio, del passato bei sogni ridenti,
le rose del volto già son pallenti;
l’amore d’Alfredo pur esso mi manca,
conforto, sostegno dell’anima stanca…
Ah, della traviata sorridi al desïo;
a lei, deh, perdona, tu accoglila, o dio.
Or tutto finì.
C’è una seconda strofe, che in genere viene omessa con lo stesso tema, ma dai versi molto dolorosi.
Le gioie, i dolori tra poco avran fine,
la tomba ai mortali di tutto è confine!
Non lagrima o fiore avrà la mia fossa,
non croce col nome che copra quest’ossa!
Ah, della traviata sorridi al desïo;
a lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio.
Or tutto finì!
Un momento di gioia si manifesta con l’arrivo di Alfredo. Dopo il “Parigi O cara” la gioia si spegne, per ritornare alla malinconia iniziale. Violetta vorrebbe uscire, ma si rende conto di essere priva di forze. Alfredo comanda ad Annina di chiamare il dottore.
La seguente frase pronunciata da Violetta, basta per esprimere tutta la drammaticità che il terzo atto racchiude:
Digli… che Alfredo
è ritornato all’amor mio…
Digli che vivere ancor vogl’io..
Ma se tornando non m’hai salvato,
a niuno in terra salvarmi è dato.
Segue il duetto “Gran Dio morir si giovine”
Nel frattempo, giunge anche Germont, che solo adesso, forse, si rende conto del male commesso.
Di più non lacerarmi…
Troppo rimorso l’alma mi divora…
Quasi fulmin m’atterra ogni suo detto…
Oh, malcauto vegliardo!…
Ah, tutto il mal ch’io feci ora sol vedo!
Come una candela che si consuma, il terzo atto si avvia verso la conclusione, con Violetta che muore.
La prima della Traviata, a La Fence di Venezia fu un disastro.Verdi, si lamentava della prima donna, non adeguata al ruolo a causa della sua robusta corporatura.
Infatti alla prima, quando il dottore sentenziò: “La tisi non le accorda che poche ore”, il pubblico scoppiò in una fragorosa risata e i fischi furono inevitabili. Inoltre, il baritono a causa di una raucedine era afono. Fu la catastrofe.
Dopo qualche ritocco al libretto e alla musica, l’opera fu data sempre a Venezia al San benedetto, e il successo fu trionfale.
Da allora La Traviata è fra le opere più rappresentate al mondo.
Alessandro Scardaci