La stagione lirica del Teatro Massimo si è aperta con La Bohème.
Si sa che le opere di Puccini commuovono, e non lasciano un attimo di tregua allo spettatore, che viene condotto ai livelli più sublimi dell’anima dalla prima all’ultima nota.
Il regista Mario Pontiggia è riuscito a catturare lo spirito di questa vicenda fatta di povertà, ma allo stesso tempo di spensieratezza, simpatia e solidarietà. Nelle scene si percepisce il clima del romanzo di Murger. La caratterizzazione dei personaggi è ben curata e i movimenti scenici riescono a far sognare lo spettatore accompagnandolo per una fantasmagoria di colori e movimenti scenici che rendono viva l’azione.
L’orchestra, sotto la direzione del maestro Fabrizio Maria Carminati, ha lavorato in equilibrio con cantanti e coro. Non ha svolto solo un ruolo di accompagnamento, ma ha fatto parte dei personaggi entrando nel merito dell’opera, sottolineando i momenti più toccanti.
Il coro sotto la guida del maestro Luigi Petrozziello ha contribuito a dare al secondo quadro quella giusta vivacità che lo contraddistingue. Anche il coro di voci bianche diretto da Daniela Giambra ha dato un giusto apporto nel secondo quadro.
Una splendida Mimì interpretata dal soprano Valeria Sepe, che canta non solo con la voce, ma anche con la gestualità. Così riesce a commuovere in “Mi chiamano Mimì” e “Donde lieta”
Giorgio Berrugi interpreta il ruolo di Rodolfo in modo straordinario, immedesimandosi nella persona, rendendola vivente nei propri sentimenti per Mimì.
La bizzarra e capricciosa Musetta è impersonata in modo fantastico da Jessica Nuccio. Con la sua bella coloratura di voce dà luce al personaggio e alla fine riesce a rendere bene la profondità dei propri sentimenti.
Marcello è ben interpretato da Vincenzo Taormina. Riesce a sottolineare il suo ruolo di buon amico di Rodolfo, ma anche di amante simpaticamente geloso.
Schaunard, che forse è il personaggio più penalizzato, riesce ad imporsi con l’interpretazione di Italo Proferisce.
Infine il filosofo Colline (George Andguladze) ci dona una struggente “Vecchia zimarra”.
Bella la trovata di vestire Parpignol da clown, rendendolo così , almeno per un momento, protagonista.
Lo tesso si può dire per Benoit e Alcindoro. Sono personaggi che hanno una breve apparizione, ma se ben studiati, come in questo caso, stupiscono lo spettatore.
Luci scene e costumi hanno aggiunto valore a questo lavoro.
Uno spettacolo quindi riuscito in tutti i suoi aspetti, anche se chiamarlo semplicemente ‘spettacolo’ può sembrare riduttivo. Ci auguriamo che le prossime rappresentazioni siano di questo livello, considerando che coro e orchestra di questo teatro sono di elevato spessore come tutti gli altri artisti che vi collaborano a partire dal direttore musicale di palcoscenico al maestro del coro già citato.
Alessandro Scardaci