Le due Bohème al Massimo Bellini di Catania

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 La stagione lirica 2022.2023 del Teatro Massimo Bellini si inaugurerà con ‘La Bohème’ di Puccini (dal 26 Novembre al 4 dicembre), ma la direzione artistica ha pensato bene di far conoscere al pubblico anche La Bohème di Leoncavallo, che l’ha inserita (11 e 13 dicembre) nella stagione sinfonica sotto forma di concerto.

Ci asteniamo dal fare dei paragoni che potrebbero sembrare scontati e cercheremo di vedere in cosa si distinguono i due lavori, almeno dal punto di vista teatrale.

Entrambe le due opere sono tratte da una serie di racconti pubblicati a puntate sul “Corsaire-Satan” tra il 1845 e il 1849 dal titolo Scènes de la vie de Bohème. In seguito, questi racconti furono riuniti in un unico volume dal titolo La Bohème.

Nella sintesi di Puccini l’opera è divisa in quadri e i personaggi attorno ai quali orbita la trama sono quattro: Rodolfo poeta, Marcello pittore, Schaunard musicista, Colline filosofo, a questi poi si aggiungono Mimì e Musetta.

Il primo quadro si svolge nella soffitta dove i quattro giovani artisti vivono nella spensieratezza della loro età. Siamo alla Vigilia di Natale.

È Rodolfo con il suo ‘Nei cieli bigi’ che imprime all’inizio una nota poetica che cattura anche l’ascoltatore più distratto. Poche pennellate, bastano a descrivere lo stato di indigenza in cui i quattro giovani vivono, ma essi sdrammatizzano scherzandoci sopra. Rodolfo afferma di non credere al sudore della fronte, e poi continuano.

L’amore è un caminetto che sciupa troppo

e in fretta…

dove l’uomo è fascina

e la donna è l’alare…

l’una brucia in un soffio…

e l’altro sta a guardare.”

 

L’ascoltatore senza tanti preamboli, quindi viene messo di fronte al tema del freddo fra note guizzanti e gaie ma non certo gravi.

È la comparsa di Mimì che fa decollare la trama dell’opera. Bussa alla porta perché le si è spento il lume. Poche parole tra vicini:

Di grazia mi si è spento

il lume

 

si accomodi un momento…,

ma l’orchestra con un sottofondo che sembra una brace ci annuncia che qualcosa sta per accadere.

Mimì è malata e sviene “Che viso d’ammalata” esclama Rodolfo mentre ne contempla il volto.

Quando Mimì rinviene Rodolfo le accende il lume, Mimì si accorge di avere perso la chiave della sua soffitta ma stando davanti all’uscio il lume si rispegne, Rodolfo ne approfitta e spegne anche il proprio per restare ancora con lei. Cercano la chiave al buio, anzi al chiaro di luna. Rodolfo la trova, ma se la mette in tasca e continua a fingere di cercare finché le loro mani si toccano.

È un momento magico che viene descritto con un semplice “Ah” soffocato, espresso da Mimì.

Rodolfo è un poeta, sia nel lavoro che nel proprio animo e si esprime con i versi a tutti noti di “Che gelida manina”

Con questi versi Rodolfo si presenta. È un poeta.

In povertà mia lieta,

Scialo da gran signore

Rime ed inni d’amore,

Per sogni per chimere

E per castelli in aria

l’anima ho milionaria

Rodolfo con i suoi versi conclude la propria presentazione.

Adesso è Mimì a presentarsi.

Sì.

Mi chiamano Mimì,

Ma il mio nome è Lucia,

La storia mia

È breve. A tela o a seta

Ricamo in casa e fuori…

Ma i fiori ch’io faccio, ahimè! Non hanno odore

I versi ci fanno capire che è una donna sensibile, magari un po’ fragile per la sua salute.

Il duetto “O soave fanciulla” conclude il primo quadro. Quel che l’orchestra in sottofondo col tema di “Mi chiamano Mimì” annunciava è accaduto.

Il secondo quadro è tutto sfavillante di luci e di colori. La musica è scintillante. Siamo al Quartier Latino. La musica e i colori ci fanno pensare a un quadro espressionista. Qui accade di tutto. Rodolfo presenta Mimì agli amici, Musetta fa la sua comparsa accompagnata dal nuovo spasimante Alcindoro, esasperato,con le braccia piene di pacchi, e per fare dispetto a Marcello col quale ha litigato, intona una lasciva canzone “Quando men vo”

Dopo la canzone però i due amanti si riappacificano, con un finto dolore al piede Musetta si libera del vecchio Alcindoro chiedendogli di cercare un calzolaio. I due amanti si abbracciano. I quattro amici nel frattempo hanno speso tutti i soldi e non sanno come pagare il conto, ma provvede Musetta. Unisce i due conti il suo e il loro e così i quattro amici e le due donne hanno passato una lieta Vigilia di Natale a spese di Alcindoro.

 

L’allegria, la spensieratezza dei giovani artisti svaniscono nel terzo quadro. I due amanti, che nel frattempo hanno deciso di vivere insieme, litigano sempre come confida Mimì a Marcello, a causa

Della gelosia di Rodolfo.

Mimì è una civetta

che frascheggia con tutti. Un

moscardino di Viscontino

le fa gli occhi di triglia.

Ella sgonnella e scopre la caviglia

con un far promettente e lusinghier

 

Ma la realtà è un’altra. Mimì è molto malata e loro vivono di stenti in “Una tana squallida”, fredda dove

V’entra e l’aggira un vento

di tramontana”.

 

Forse ha bisogno di un amante più facoltoso. Magari il Viscontino.

I due amanti così decidono di lasciarsi, ma…

 “Soli d’inverno è dura da morire”

Mentre a primavera c’è compagno il sol”

A questo duetto molto intenso, si alterna un litigio, sempre a causa della gelosia, tra Marcello e Musetta. Un litigio però non grave, ma brioso che serve a stemperare la tensione creata.

Ci lascerem alla stagion dei fior”.

Con queste parole si conclude il terzo quadro.

Nel quarto quadro si ritorna in soffitta. la musica è composta da frammenti di temi del primo quadro, quasi un modo nostalgico che ci ricorda la spensieratezza dei tempi del primo quadro. Tempi che non tornano più, e che esprimono una situazione ben diversa da quella iniziale.

I due fanno finta di lavorare invece chiacchierano. Rodolfo apprende da così che Mimì è felice col viscontino. Anche Musetta ha un nuovo amante. Entrambi fingono indifferenza, ma non è così.

Arrivano Schaunard e Colline, ma stavolta hanno rimediato ben poco: un’aringa salata e del pane.

Scherzano, si divertono, addirittura ballano, fingono un duello, ma arriva Musetta a turbare quella simulata atmosfera lieta.

C’è Mimì che mi segue e che sta male”.

Sa che sta per morire e vuol farlo tra le braccia del suo amato

Non sanno come aiutarla, Musetta dà a Marcello i propri orecchini. “A te vendi, vendi, riporta qualche cordial, manda un dottore!…” . Colline va ad impegnare la sua “Vecchia zimarra”.

Oggi diremmo una vera e propria gara di solidarietà, ma è qualcosa di più: è fratellanza.

Mimì muore così tra le braccia di Rodolfo.


Nella Bohème di Leoncavallo Musetta si chiama Musette e si aggiungono altri personaggi. Eufemia (compagna di Schaunard). Il Visconte Paolo e Barbemuche, letterato ed istitutore.

Gaudenzio è il proprietario del Caffè Momus, dove si svolge il primo atto. Si lamenta con Schaunard: perché i quattro artisti sono invadenti.

No, signor mio, così non può durare:

i vostri amici Rodolfo e Marcello

confiscano il tric trac, perché il cervello

col gioco, dicon, deve riposare.

E, a chi lo chieda, rendon, con sicura

faccia, la beffa: ~ «Il tric trac è in lettura!»

Anche il signor Marcello ha trasportato

qui, nel caffè Momus, pennelli e tela;

ed a posar modelle vi ha chiamato:

scandalo grave per la clientela!

 Fra l’altro senza consumare nulla, anzi addirittura

Dicendo che cicoria sempre da me beveste

portaste qui una macchina ed il caffè faceste!

 Ma la situazione diventa ancor più esasperata quando “un becero” si presenta al caffè per assistere a un corso di canto organizzato proprio da Schaunard, che comprende di aver esagerato. Promette che Marcello non lavorerà più nel locale ed egli non suonerà più le sue musiche che “corser le guardie come all’osteria.”, come Gaudenzio afferma.

In realtà Schaunard pensa alla cena della Vigilia e denaro non ne hanno proprio. Fra l’altro Gaudenzio è abbastanza chiaro.

Ma però non più crediti;

codesto già, s’intende!

Il musicista non si preoccupa. Nel frattempo giungono gli altri amici.

Insieme aspettano le altre donne. Sopraggiunge Eufemia.

Quando le due dame giungono è proprio Schaunard che fa le presentazioni.

Colui che nudo e rilucente ha il cranio

è Colline, filosofo.

Poi Rodolfo, poeta: (egli ne ha l’abito

e la borsa!) Mimì sposò fra gli alberi

del bosco di Medon, e benedivali

il curato de’ passeri!…

Terzo: il pittor Marcello. Cambiò titolo

sei volte al suo gran quadro, e L’Istituto

sei, l’ha respinto; ma sarà venduto.

Quarto… ma il genio schivo perché troppo superbo

si sbriga, o bella dama, di sé con un sol verbo:

~ io son Schaunard!

 

Come nel romanzo di Murger, quindi Rodolfo e Mimì sono sposati.

Mimì presenta Musette agli amici intonando un’aria che dà più l’impressione di una canzonetta, ma che sta abbastanza bene nel contesto e gradevole a sentirsi.

 Musette svaria sulla bocca viva

le canzonette belle;

rompe la voce come da sorgiva

per mille fontanelle.

Canta i vent’anni e al fresco tintinnire

il piè muove alla danza;

la scorge Amor dall’ultimo gioire

alla nuova speranza.

Brilla ne l’ombra dei suoi lunghi cigli

un riso civettuolo;

e i desideri con aperti artigli

levanle intorno il volo.

Ella consente, nega e rinnamora

come le parli il core;

non vezzi ed ori seguita: ella adora

un tesoro: ~ l’amore! ~

 Si siedono tutti a tavola e la serata continua in allegria. La musica è gioiosa anche se ogni tanto risuona qualche accentoche ci ricorda I Pagliacci, ma su questo torneremo in seguito.

Anche Musette presenta Mimì agli amici e anch’essa lo fa intonando una canzonetta altrettanto gradevole.

Mimì Pinson la biondinetta

che corteggiar ciascuno vuol,

un gonnellino, una cuffietta,

landeriretta

possiede sol.

Ma con gli audaci ha la man lesta

e spesso più d’un bel garzon

bassò la cresta.

Guai se s’impenna in su la testa

la cuffia di Mimì Pinson.

Mimì Pinson la biondinetta

ama le feste, il buon umor.

Con un sorriso, una smorfietta

landeriretta

conquista i cuor.

E se un bicchier la mette in vena

ella sa dirvi la canzon

a gola piena.

Talvolta è a sghembo in fin di cena

la cuffia di Mimì Pinson.

 

 I guai arrivano al momento di pagare il conto e Gaudenzio va su tutte le furie, ma come un deux ex machina entra in scena Barbemuche, istitutore del visconte Paolo. Si proclama amico degli artisti, ed è un onore per lui poterli aiutare. Gaudenzio accetta, ma gli artisti per orgoglio sono restii ad accettare. Decidono allora di giocare al biliardo. Se Schaunard vince sarà l’istitutore a pagare il conto.

Durante la partita Marcello corteggia Musette

Signorina Musette,

volete darmi in ricordo quel fiore?

MUSETTE (ponendogli il fiore all’occhiello) Cavaliere dell’ordine gentil di primavera!

 Si inizia un duetto che alla fine viene interrotto dalla vittoria di Schaunard al biliardo anche stavolta con degli accordi dell’orchestra che ci ricordano I Pagliacci, ma è il modo di Leoncavallo di sottolineare determinati momenti critici.

Così si conclude il primo atto.

Il secondo atto si svolge nel cortile dell’abitazione di Musette. Il ricco banchiere che mantiene Musette non accetta la sua relazione con Marcello, così l’ha cacciata fuori di casa e si rifiuta di pagare i mobili che sono stati pignorati e si trovano in cortile in attesa di esser portati via.

Marcello si offre si offre di ospitarla e intona la prima vera aria dell’opera

Io non ho che una povera stanzetta

fra i comignoli e il ciel e a voi la cedo ~

e in cambio qualche gaia canzonetta

che allegri il nido mio solo vi chiedo.

Le rondini all’udir voce novella

muto faranno il chiaro inno canoro;

in fin che tutte alla maggior sorella

obbedienti assentiranno in coro.

I nostri baci ed il giulivo canto

l’eco della stanzetta riterrà

nei dì che più non mi sarete accanto

ivi l’anima sempre vi vedrà!

 

Un altro problema si aggiunge. Musette aveva organizzato una festa e la si deve adesso rimandare, ma Marcello e Scaunard convincono Musette a dare la festa proprio nel cortile, e così con grande spirito di improvvisazione e col consenso del portiere Durand si comincia ad allestire il luogo per la festa.

La festa ha inizio, la musica sottolinea efficacemente il clima allegro. L’inno della Bohème è di gran pregio.

 

Dei vent’anni fra l’ebbrezza

l’avvenire un sogno appar.

Vola via la giovinezza

vogliam vivere ed amar.

Ride amore; ai cari assalti

piegan vinte le beltà

squillan glorïosi ed alti

gl’inni della breve età.

Cogliam lesti la carezza

che ci deve inebriar.

Vola via la giovinezza

vogliam vivere ed amar.

Mai non ebber le donzelle

da noi doni in gemme ed or;

pure a noi vengon le belle

via, da chi spende tesor,

perché noi tutta l’ebbrezza

dei verd’anni sappiam dar.

Vola via la giovinezza

vogliam vivere ed amar!


Tra gli invitati cè il Visconte Paolo che corteggia Mimì che all’inizio resiste alle lusinghe del giovane pur sapendo che la vita da Bohème le mancherà

 

Che far? Che lotta! Destansi

nel sen mille desiri!

M’arde la testa!… o spegnili

mio core i tuoi sospiri!

 

Il baccano della festa disturba il vicinato che insorge, cacciando via gli invitati dal cortile.

Il secondo atto si conclude così tra schiamazzi e la fuga di Mimì col Visconte.

 

 Il terzo atto si svolge nella soffitta di Marcello. È insieme a Schaunard. Meditano sulla loro miseria. È ora di pranzo, ma non hanno nulla da mangiare.

È l’ora a noi molesta

in cui si mette a tavola ogni persona onesta!

E dire che a Parigi sui ferri in questo istante

son più di centomila cotolette!

 

Ma il dramma adesso prende più forma. Musette non riesce più a vivere di stenti, non sopporta più la fame e decide di lasciare Marcello per cercare un amante più facoltoso. Così prima di andar via gli una lettera.

 

«Marcello mio!

Non stare ad aspettarmi,

esco e non so se ritornar potrò

mi tormenta la fame,

e per distrarmi

sui boulevards vagando me ne vo.

 

Al contrario Mimì vuole tornare con Rodolfo, non sa che farsene degli agi e vuole vivere il suo amore con Rodolfo. Le due donne si scambiano questi pensieri non sapendo di essere ascoltate da Marcello nascosto

dietro le scale.

Marcello si convince che è stata Mimì a persuadere Musette a lasciare Marcello. Alla fine è proprio quest’ultimo che con la stessa veemenza ci ricorda Canio nell’ultimo atto dei Pagliacci, caccia via Musette con le seguenti parole

 

 Va’ via, fantasma del passato!

E offrirmi baci osi tu ancor?

Creder mi lascia che ho sognato

quand’io ripenso al nostro amor!

Son le menzogne tue soltanto

che m’hanno appreso ad imprecar!

Ed ora io dubito del pianto

perché t’ho visto lacrimar!

Ebben, va’ pur da me lontana

vendi a chi t’offre gemme ed or

le tue carezze, o cortigiana,

io mi vergogno del tuo amor!

 

Neanche Rodolfo crede alle parole di Mimì e anch’egli la caccia via:


Fra noi due nini diggià tutto finì

tu non sei che un fantasma ed uno spettro io sono.

Del nostro amor defunto il De profundis qui

fra una pipa e un bicchiere in gaio ritmo intuono.

A me più non rammenti il tuo perduto amor

nel sudario di seta che soffoca il tuo cor.

 

Le due donne così si allontanano e con quest’amarezza si conclude il terzo atto.

 Il quarto atto si svolge nella soffitta di Rodolfo. È Natale e i quattro artisti parlano con rimpianto del Natale dell’anno precedente. Bussa Mimì ormai logorata dalla tosse. Sa che sta per morire, ma chiede solo un riparo per la notte. Rivela che la relazione col Visconte era finita da tempo e che aveva tentato di riprendere a lavorare, ma nessuno la volle e fu la miseria finché

Cadde malata.

Nel frattempo giunge Musette, che nel vedere l’amica in quello stato in un atto di pietà decide di donare i propri gioielli.

Mimì!… in tale stato!…

Ma se’ di gelo!… Qui non c’è più fuoco!…

(interrogando con lo sguardo i tre amici)

Nulla?

(poi con moto improvviso si strappa un braccialetto ed un anello e li dà a Schaunard)

Prendi, Schaunard… corri… provvedi

a tutto! Qui restar non può così!

 Ma ormai per Mimì è finita, muore consunta più che dalla malattia dalla miseria.

Taci. ~ L’altr’anno, rammentatevi,

laggiù al caffè Momus!… Era vigilia

. ciò che nell’di Natal come adesso!… Oh che letizia,

che gioia allor!… Le vostre mani datemi!…

Non vedo più… no, piangere non vale.

Addio, Rodolfo!…

Natale!… Natale!…

 

Sicuramente l’edizione di Leoncavallo è la più fedele al romanzo di Murger, quel che in Puccini è appena accennato, in Leoncavallo è pienamente vissuto come ad esempio la presenza del Visconte.

Si accennava al modo prorompente del cantato di Marcello, ma questo lo possiamo notare anche in altre opere come I Medici. È il suo modo di esprimere le scene passionali, ma non possiamo dire che copia da se stesso.

Leoncavallo non ha avuto la stessa fortuna di altri suoi contemporanei, ci auguriamo che in un prossimo futuro la critica cerchi di rivalutarlo come merita.

Alessandro Scardaci

 

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