La catanesità in forma di parole

Posted by on Sep 1st, 2020 and filed under Libri, Saggistica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

La catanesità in forma di parole

Parlare o scrivere di Catania è una cosa facile a fare, poiché la città si presta a mostrare apertamente i tesori di cui è vestita. Infatti, è evidente la bellezza che traspare dai progetti urbanistici ideati dal Vaccarini sullo stupendo sfondo dell’Etna, che incombe con il suo eterno pennacchio di fumo vagante e confuso tra le nuvole del cielo, sempre azzurro.
Chiunque visita la città rimane incantato da tanta bellezza, ma mi chiedo se riesca a comprendere la sua intima essenza, quella che è stata definita la catanesità, ossia l’espressionismo caratteriale della sua anima, che emerge dal suo linguaggio e dal suo atavico dialetto.
Va approfondito questo concetto della catanesità, che denota un modo di essere e di vivere molto diverso da quello degli altri abitanti della Sicilia e che mostra la vera anima della città. Per poterla evidenziare, bisogna fare un’attenta analisi del suo linguaggio quotidiano e dei suoi modi dire, capirlo e riversarlo in figure plastiche da mostrare come simboli, anzi, monumenti di figure fluttuanti nelle vie cittadine.
Questo compito non facile si è assunto l’autrice, mediante una certosina ricerca delle parole e delle espressioni del suddetto linguaggio e anche degli atteggiamenti che producono nei suoi abitanti, evidenziandone il carattere e il modo di vivere, appunto la “catanesità”.
Tale compito comporta la conoscenza della lingua siciliana, quella nata a Palermo ai tempi di Federico II di Svevia e delle variazioni da essa subite a Catania.
Bisogna sapere che la lingua siciliana, scaturita dalla volgarizzazione del latino, ha subìto nel tempo delle modifiche, venendo a contatto con il linguaggio di altri popoli che l’hanno occupata, sicché, a seconda dei luoghi, ha dato vita a diversi vernacoli, che sono la variazione del dialetto, inteso come lingua autoctona, per ogni singola località.
Vera Ambra ha dovuto affrontare il vernacolo catanese e, quindi, fare una ricerca approfondita delle parole, che soltanto chi è vissuto a Catania può fare, non potendo fruire dell’aiuto dei classici in lingua siciliana e dei loro canoni, come quelli, per esempio catalogati dal Pitré.
Se si tiene conto che a Catania il vernacolo assume delle tonalità diverse a seconda dei quartieri, si comprendono le difficoltà che l’autrice ha dovuto riscontrare nella ricerca e nell’analisi dei vari modi di dire. Già! Sembra proprio che a Catania vi sia un vernacolo per ogni quartiere e ognuno ha una caratteristica diversa, esattamente come avviene tra il vernacolo calatino e quello catanese o quello siracusano e di altre località. A cambiare a volte è il tono o addirittura la pronunzia dello stesso identico vocabolo.
Ebbene, a Catania accade pure questo. Vi è un vernacolo “aulico” delle persone più snob e quello più popolare e vi assicuro che è difficile elevarne le differenze. Vera Ambra ci riesce con una consumata abilità, frutto non soltanto del suo essere catanese, ma d’intensa ricerca condotta in maniera molto accorta e intelligente.
L’Autrice impernia la sua opera, appunto nell’incontro tra una ragazza e un ragazzo, appartenenti a questi mondi differenti, che finiscono insieme nonostante le diverse origini di quartiere, creando una famiglia tipica nei luoghi di tutta la città, fondendo insieme le diversità ereditate.
Ciò le dà modo di spaziare in queste due diverse arie dell’anima catanese, tirando fuori le differenze apparenti e nascoste dei due atteggiamenti. Ed è tutta una ridda di termini e una girandola di modi di dire, che rispecchia esattamente la catanesità di cui ho descritto le caratteristiche somatiche.

Mi ha fatto sorridere, colpendo nel segno, quell’apparente diversità tra cosiddetti Mammoriani e Monfiani, effettivamente esistente e messa in evidenza, anche dai nostri comici in TV. Un lavoro, dunque, quello di Vera Ambra che ha un rigore scientifico della ricerca glottologica, che richiama pure atteggiamenti istrionici tipici rilevabili frequentando la Pescheria o altri luoghi con la cinepresa della parola.
Tale ricerca (questa è la caratteristica saliente!) non è fine a se stessa, relegata a descrivere determinati atteggiamenti, essa riesce a tingersi di poesia di un interesse che trasborda nel divertente e nel teatrale.
Non vado a descrivere i vari atteggiamenti più rilevanti, ritenendo di fare cosa migliore, lasciando al lettore il piacere di rilevarli e gustarli nella lettura che scorre placidamente e sembra proprio che l’acqua delle parole urti lievemente contro gli scogli dello scenario dell’architettura di Catania.
Ritengo proprio che dalla lettura completa emerga quella “catanesità” famosa non solo in Sicilia, ma in tutta l’Italia ed esportata dai nostri attori in tutto il mondo, condita dalla rilevata liscja catanisi, che è l’ironia sottile, tipicamente leggera ma ca rumpi l’ossa e colpisce nel segno.
Basti per questo ricordare i nostri famosi attori, Angelo Musco, Turi Ferro e non ultimo Leo Gullotta, nei quali i termini, le parole e i modi di dire evidenziati dall’Autrice, hanno trovato spazio nelle loro commedie.
Chiudo questa mia dissertazione sul libro di Vera Ambra, precisando che la sua opera va di là dal rigore letterario dialettale di Domenico Tempio e del più recente Nino Martoglio e alla stessa accennata e sfiorata prosa del Verga e di Pirandello che, scrittori in lingua italiana, sfiorano lievemente il dialetto.
Lei scava nel vernacolo e trova in esso tutti quegli elementi trascurati e mai rilevati da altri, in un’opera tipicamente catanese, nell’anima e nelle parole.
L’obiettivo di centrare l’attenzione del lettore sulla parola e sul modo di dire evidenziandone la catanesità, scindendola dalla bellezza dei suoi tipici monumenti e panoramiche, è perfettamente riuscito.

Catania, giugno 2020

 Pippo Nasca

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