In origine il termine eresia non aveva nessun significato negativo come invece siamo soliti attribuirgliene adesso. Il termine eresia dal greco haìresis, deriva dal verbo hairèō. Hairèō, si può tranquillamente tradurre con il termine di afferrare o prendere, ma anche con il termine di scegliere o eleggere. Quindi eretico, in senso positivo, era considerato anche chi sceglieva una scuola filosofica, ad esempio si fosse professato Pitagorico, seguace cioè di quel Piatgora che a Crotone aveva fondato la sua scuola.
Solo dopo cento anni dall’avvento del Cristianesimo si ha un’inversione di rotta sul significato di questo termine, così come avverrà per tanti altri paradigmi verbali che denotavano comportamenti differenti da quelli prescritti dall’ortodossia della Chiesa.
Ancora oggi diciamo essere eretico un pensiero fuori dal comune, un pensiero nuovo, originale che contraddice e si contrappone al pensiero unico di un dato ordine sociale convenzionale.
La storia è disseminata di eretici e di eresie, casi eclatanti e da tutti conosciuti: Galileo Galilei e Giordano Bruno, per rimanere nei confini nazionali ed in un ambito prettamente religioso.
Goya ha rappresentato graficamente un Tribunale dell’inquisizione, che ancora oggi fa rabbrividire. È una raffigurazione, comunque la si consideri, inquietante.
Metteva paura l’inquisizione allora, come hanno, con la minaccia del terrore, messo paura tutti i sistemi totalitari. Durante la dittatura cilena di Pinochet, si aggirava tra i detenuti negli stadi, l’uomo con il cappuccio: chiunque fosse stato additato, sarebbe stato torturato ed ucciso perché colluso col deposto governo di Allende. Oggi si istituiscono ovunque, nei moderni sistemi di governo, dei Ministeri che comunque li si chiami in realtà sono dei veri e propri Ministeri della Paura.
Cosicché diventa urgente, per evitare l’affermazione di qualsiasi forma di dittatura, politica o culturale, prendere posizione, scegliere di essere oppositivi ad un pensiero dominante, essere eretici così come lo si era nel mondo greco, dove si era eretici nel senso che si seguiva una propria condotta morale frutto di scelte filosofiche.
Giordano Bruno si è detto aveva pagato con la vita la sua eresia religiosa. Leonardo Sciascia nella sua opera “In morte dell’Inquisitore” ci descrive l’eresia di un altro monaco, suo compaesano, anch’egli bruciato al rogo, la sua eresia più che teologica è un’eresia di carattere sociale. Quest’uomo di “tenace concetto” come lo sono tutti gli uomini capaci di sostenere fino alla morte una propria autonomia di giudizio, viene preso a pretesto per affermare la necessità dell’eresia. Non solo, Sciascia elogia l’eresia, tanto da farne l’apologia.
Sono trascorsi quarant’anni da quando nel 9 maggio del 1979 comparve sul giornale L’Ora di Palermo, un articolo dal titolo: “Elogio dell’eresia”. L’intervista anticipa la pubblicazione “La Sicilia come metafora”. Il tema dell’eresia è fondamentale per comprendere tutta l’opera letteraria e politica dello scrittore racalmutese, ed è ancora oggi di una attualità sconvolgente: “l’eresia è di per sé una grande cosa, e colui che difende la propria eresia è sempre un uomo che tiene alta la dignità dell’uomo. Bisogna essere eretici, rischiare di essere eretici, se no è finita. Voi avete visto che non è stata soltanto la Chiesa cattolica ad avere paura delle eresie. E’ stato anche il Partito Comunista dell’Urss ad avere paura dell’eresia, e c’è sempre nel potere che si costituisce in fanatismo questa paura dell’eresia. Allora ogni uomo, ognuno di noi, per essere libero, per essere fedele alla propria dignità, deve essere sempre un eretico”.
Carmelo Sciascia