Rossana Caltabiano nasce a Catania il 29/07/83, studia presso il Liceo Artistico di Acireale diplomandosi alla sezione Rilievo e Catalogazione dei beni culturali nel 2002, si laurea all’Accademia di Belle Arti di Catania al corso di Pittura Indirizzo Beni Culturali nel 2009.
Si diletta in sperimentazioni fotografiche e persegue lo studio pittorico, fondendo entrambe le sperimentazioni. Inizia il percorso produttivo in ambito accademico, includendo nella medesima formazione la cultura per la valorizzazione del territorio e dei beni culturali e la preparazione tecnico pittorica, seguendo le lezioni di pittura del prof. Enzo Federici dell’Accademia di Belle Arti di Catania.
La tendenza dell’artista è alternare la passione pittorica a quella fotografica.
Il tema scelto nei quadri apparentemente semplice, cela una ricerca storico artistica in quanto associata, in sede di tesi di laurea, allo studio del Cristo Velato di Napoli e di un ipotetico processo alchemico di pietrificazione del velo.
I colori sono simbolo di stati di forte passione, una evoluzione cromatica che inizia dall’osservazione del dato fotografico, tendendo a un’evoluzione di bellezza.
Questo appare come un’enucleazione di sensibilità umana, purificazione panica in un contesto naturale in cui i colori sono gli artefici del prodigio.
La scelta di partire da toni principali per arrivare ai corrispettivi derivati terziari, definendo paesaggi caldi e paesaggi freddi, denota il chiaro riferimento alla natura cangiante dell’animo umano.
Privilegiando come predominanti nel ciclo pittorico i toni caldi, sembra quasi che l’artista voglia ricordare che nella vita, come nella pittura, che il profilarsi di evoluzioni dell’esistere deve avere come presupposto il calore cromatico della speranza.
I colori a olio si velano nei paesaggi di rosa con una evanescente levità, quasi fossero realmente plasmate da nubi e non materia, entità impalpabili determinate dal colore.
Il senso del calore umano le pone a metà tra la fantasia e il cuore, sono realtà dell’anima non contingenti.
È come se l’artista avesse fotografato stati emotivi, “congerie di stati vissuti” bergsoniani di un es non materializzato, non codificato.
L’es, insieme di passioni celate e inconsce, è stato spiato nel silenzio, fotografato e dipinto in paesaggi statici, dove non c’è una reale corporeità se non per allusioni di forme umane.
Ombretta Di Bella