Ieri (6 Dicembre 2019) al teatro massimo Bellini di Catania vi è stata un’esplosione di catanesità assoluta, è andato in scena per la prima volta il melodramma lirico di Gianni Bella, Mogol e Ferretti, “La Capinera”.
Catanese Gianni Bella, già noto cantautore e musicista debuttante nella lirica; catanese il teatro che ricorda il celebre Bellini; catanese l’ambiente presentato sul palcoscenico; catanese lo spirito del Verga che aleggiava su tutta la vicenda rappresentata; catanese il pubblico che alla fine ha applaudito per 20 minuti sia l’opera che i cantanti, nonché lo stesso Gianni Bella apparso sul palcoscenico.
L’opera si ispira al romanzo verghiano la storia di una capinera e racconta il dramma di una giovane donna, costretta dalle necessità della vita, a prendere il velo, nonostante quella non fosse la sua vocazione.
Il Verga finì di scrivere questo romanzo alla fine dell’anno 1869, ma venne pubblicato solamente nel 1871.
Il romanzo che seguiva il filone del languente romanticismo, non trovò all’inizio molto successo, ma dopo l’esploit del Verga, seguito alla rappresentazione dell’opera lirica “La cavalleria rusticana”, ispirata al Mascagni da una sua novella, fu notata dal pubblico e, parimenti al “Mastro Don Gesualdo”,“I Malavoglia” e le altre novelle veriste, raggiunse quel favore del pubblico che rese celebre il Verga.
La curiosità storica vuole che il Verga nello scrivere questo romanzo si ispirasse ad un suo amore giovanile non realizzato per una ragazza, conosciuta a Vizzini nel periodo del colera negli anni 1854/55, una certa Rosalia, destinata per indigenza a diventare suora. Ciò è quanto emerge da ricerche effettuate da un biografgo del Verga, ma la verità certa è che la scrittura di questa sua opera, gli dette la scusa di frequentare con una certa assiduità Giselda Foianesi, conosciuta a Firenze e trasferitasi a Catania per insegnare in un convitto di novizie. Ciò, allo scopo di acquisire modi di pensare e di fare delle novizie utili al suo lavoro. Fra i due nacque del tenero, ma non approdò a nulla per una certa avversione del Verga ad una situazione matrimoniale stabile. Fu così che la Foianesi accettò la corte e la proposta di matrimonio dell’illustre Professore Mario Rapisarda, titolare di cattedra di Retorica all’Università di Catania. È storia accertata che il matrimonio tra i due naufragò, poiché Verga fece da terzo incomodo e che la Foianesi se ne tornò a Firenze senza marito e… senza amante, disprezzata da entrambi.
In ogni caso, “la storia di una capinera”, è un documento storico che evidenzia, la tendenza di quel periodo a ricorrere alla monacazione dei meno abbienti, in genere contadini, per sfuggire all’indigenza endemica della popolazione. Lo spettro della “roba”, capo saldo del verismo, già aleggiava nella mente del Verga. Era sotto i suoi occhi il verificarsi di vocazioni sospette di preti e monache ai quali era da stimolo solamente la fame o la fuga da una vita di stenti e miseria. Chissà, forse anche lui avrebbe scelto quella via se costretto dall’indigenza. Certamente egli, portato a godere i piaceri della vita e dell’amore per le donne, notò il contrasto che sarebbe nato in lui nel caso di una simile scelta.
Quindi, la storia di una capinera è sicuramente frutto non solo del ricordo di un’eventuale sua avventuretta giovanile o del desiderio di esporre una realtà storica, ma di esternare una sua sensazione personale di sgomento e di disagio d’innanzi ad una sua eventuale scelta in proposito.
Un’altra considerazione che mi viene spontanea è, che se Gianni Bella e Mogol sono al loro primo debutto nella lirica, il Verga è pure al primo debutto in questo campo … dopo la sua morte. Il primo battesimo lo ha avuto con “la cavalleria rusticana, ma da vivo.
Pippo Nasca