Figura quanto mai interessante, dal punto di vista culturale, quella di Ruggero Marino. Giornalista professionista (ha lavorato per quasi trentacinque anni in un grande quotidiano della capitale) ha poi scoperto, inaspettatamente, una vocazione di storico, scrivendo numerosi libri su Cristoforo Colombo, sì da essere considerato uno dei maggiori esperti a livello mondiale, con tesi del tutto rivoluzionarie, circa la scoperta del Nuovo Mondo. Il suo ultimo libro “Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari” (Sperling & Kupfer ) ha avuto 4 edizioni ed è stato tradotto in 7 Paesi. Il quotidiano inglese “Times” gli ha dedicato ben due pagine.
Lasciati (ma non abbandonati) i panni dello storico, Marino si è poi immerso in altri generi letterari, il romanzo e la poesia, con un intermezzo, se così si può dire, dedicato agli aforismi, un tema, un argomento davvero poco trattato nell’attuale panorama letterario. Dunque una personalità poliedrica, una sorta di prisma dalle mille sfaccettature, nelle quali Marino mostra diversi aspetti, si cimenta ed utilizza differenti codici letterari, supportati da una cura, un amore per la scrittura che lo collocano tra gli scrittori contemporanei degni di attenzione.
“Ossessione d’amore” (che non è peraltro l’unico suo romanzo, avendo pubblicato anche “Stella e il circo”, scritto con Riccardo Fellini, il fratello del grande Federico) è una storia d’altri tempi, un romanzo che ci riporta indietro agli anni sessanta, a modelli ed esperienze di vita giovanili, inusuali, ovviamente, rispetto a quelli d’oggi.
La trama (il libro si può richiedere su Amazon o Lulu) descrive le esperienze di un gruppo di studenti liceali, con Raniero e Marisa, i due protagonisti, al centro della vicenda. E lo fa con uno stile fluido, accattivante, in punta di penna, che conduce il lettore dal mare di una Sardegna incontaminata, non ancora deturpata dalle orde del turismo di massa, all’Adriatico, dove la love story (o meglio l’ossessione amorosa di Raniero) \amici, le prime schermaglie amorose con le ragazze, le gite in bicicletta. E poi il ritorno nella capitale, con le visite ai musei, le feste da ballo con gli immancabili ritmi “lenti”, l’invito al cinema e la visione di “Rocco e i suoi fratelli”, di Luchino Visconti (Ruggero Marino non cita il titolo espressamente, ma è un suo chiaro omaggio ad un film cult degli anni sessanta ). E poi ancora le gite sulla neve, i capitomboli sugli sci, l’incanto dei paesaggi invernali. Un mondo che l’autore descrive, radiografa con grande precisione nei minimi particolari, con richiami sociologici ma anche, par di capire attraverso il velo del racconto, con grande rimpianto.
Terminato il felice, spensierato periodo della gioventù i protagonisti, da adulti, vivranno esperienze diverse, perdendosi di vista. Gli anni del liceo costituiranno per tutti (ma non per Raniero) soltanto uno sbiadito ricordo. Poi il romanzo vira bruscamente verso un finale tragico, non immaginabile. Un finale che , in qualche modo, fa venire in mente il film “Love story”, di Arthur Hiller, con Ali Mac Graw e Ryan O’Neal, film che fece furore negli anni settanta. E in questo finale viene ribadita la tesi, il messaggio che è alla radice del libro : i sogni più belli sono quelli che non si realizzano mai, non soffrono il confronto e la delusione della realtà, restando così eternamente sognati.
“Viator” (Edizioni Akkuaria) che si avvale di una splendida copertina e di alcune illustrazioni da parte della pittrice nicaraguense Cecilia Arguello Sanson, è un libro di poesie incentrate in prevalenza sui numerosi viaggi che l’autore ha fatto in giro per il mondo.
Il viaggio, in letteratura, è sempre stato uno dei temi ricorrenti, più diffusi, più utilizzati da poeti e scrittori. L’Odissea omerica, con il lungo viaggio di ritorno del suo protagonista, Ulisse, è uno degli esempi più probanti. Così come il viaggio dantesco all’interno dei tre mondi ultraterreni, Inferno, Purgatorio e Paradiso, così come il viaggio del protagonista, all’interno di se stesso, nell’Ulisse di Joyce, metafora sin troppo riconoscibile. Viaggi per conoscere nuovi mondi, nuove realtà. Viaggi per conoscere se stessi, per indagare, per sentire dal profondo il proprio essere, la propria anima. Viaggi per addentrarsi in un mondo transculturale, una sorta di incontro / scontro con modelli e stili di vita diversi.
Marino ha viaggiato molto, da giornalista professionista, da quello che un tempo, nella carta stampata, si chiamava l’inviato speciale. Venezia, la Sardegna, il Nilo, il deserto, Madrid, Cipro, l’Afghanistan e ancora i Paesi africani e latino americani, l’Australia. Sono queste alcune delle tappe, delle peregrinazioni dell’autore, una lunga gita per il mondo, un trattato di geografia che per fortuna non diventa mai cartolina, ma è sempre palpito di percezioni belle e profonde.
“La poesia di Ruggero Marino in “Viator”, scrive Renato Minore nella prefazione di questo libro, è una sorta di graffio alla imperscrutabilità del mondo e della vita. Una richiesta continua, avanzata di un senso o, almeno, la possibile risposta alle molte domande che affiorano nel “viator”, metafora forte che lo accompagna nelle tante peregrinazioni, mentre il suo occhio, la fantasia, la memoria scorrono come in un caleidoscopio sulle immagini di un passato su cui si deposita il caldo alito della nostalgia”. Nostalgia che affiora, in modo prepotente, nella lirica che chiude questa raccolta, lirica intitolata, non a caso, “L’Italia che vorrei”: Non avrò più il tempo/ di vedere l’Italia che conoscevo/l’Italia che sognavo /l’Italia che mi riempiva d’orgoglio/quando in un Paese lontano/
entrando in un museo/scoprivo che il mondo intero/si fa bello delle nostre bellezze/non vedrò più/l’Italia dell’infanzia/ferita dalla guerra/ ma con il viso altero/ il sudore sulla fronte/ quando le parole/sacrificio, onestà/ educazione e rispetto/ avevano ancora un valore.
Le idee della poesia – è stato scritto – si sollevano come isole dal mare della voce. Queste del “viator” di Ruggero Marino sono idee poetiche che conducono verso un approdo sicuro.
“Minime e massime” (Edizioni Letteratura Alternativa) è un libro particolare, un libro di aforismi. Ha un senso, oggi, in un mondo sempre più tecnicistico, sempre più schiavo dei new media, sempre più urlato, scrivere – e leggere – aforismi? Vale a dire, pensieri, riflessioni, frasi, semplici idee trasferite sul computer e sulla carta ? Leggendo questi aforismi di Marino parrebbe di sì. Dalla politica alla natura, alla storia, alla realtà quotidiana, al mondo dello spettacolo, ai misteri più profondi e più insondabili dell’universo, l’autore veleggia leggero, ora sarcastico, ora nostalgico, ora inguaribile sognatore, ora castigatore di mode e costumi non certo irreprensibili. Negli aforismi di Ruggero Marino si alternano tutti i modelli letterari, dal racconto in miniatura, al gioco di parole, alle invenzioni lessicali in una sorta di fuoco d’artificio dal quale si intravede la pochezza, ma anche la solitudine dell’uomo, che non merita, forse, di vivere in questo mondo. Leggendo e rileggendo queste minime e massime, come le definisce l’autore, emerge un profondo, sano pessimismo su quelli che sono i temi portanti della nostra epoca pessimismo che Marino, di quando in quando, stempera con la sua visione personale del mondo: “Le stelle sono stampelle alle quali appendere i sogni”.
Un libro da leggere senza fretta – sottolinea nella sua prefazione Dino Basili - dando spazio alla riflessione. “Ottimo il consiglio di Herman Hesse – scrive ancora Basili - assaporare ogni pagina a sorsetti, più al risveglio che a tarda sera. Tenendo a mente che un aforisma è opera di chi l’ha scritto per due terzi soltanto; il resto è a carico di chi sta leggendo”.
LUIGI SAITTA