Era il 2 luglio del 1916 quando nello scacchiere del Monte Pasubio, dove ormai da giorni infuriava una cruenta battaglia, gli Austriaci, dopo aver rovesciato tempeste ininterrotte di piombo e di fuoco e falcidiato interi reparti, ormai erano sicuri del successo. In quel marasma, i corpi di oltre tremila soldati avevano formano un vasto tappeto di sangue. Solo il tenente Salvatore Damaggiodi Terranova di Sicilia (oggi Gela), e il Sergente David Bordignon di San Giacomo di Lusiana, il Caporalmaggiore Urbani da Valdagno, il Caporale Giaccone del Distretto di Palermo, il Caporale Andorlini di Firenze, i soldati Giuseppe Cappa di Monzambano, Pietro Guion del Distretto Militare di Udine e Bonnici del Distretto Militare di Siracusa. In tutto otto uomini e due mitragliatrici cambiarono o le sorti della battaglia, giungendo alla vittoria.
Con gli occhi del mio cuore e con le gambe di Rolando Piazza, la mattinata di sabato 30 giugno 2018 ci siamo ritrovati sul Pasubio per ricordare e onorare, con una intima e accorata celebrazione, Salvatore Damaggio, meglio conosciuto come l’Eroe del Pasubio.
Una copia del mio libro “Piume baciatemi la guancia ardente” – cioè il corpo di carta del mio bel Tenente – ha trovato posto in un angolo della sua Selletta, per ricongiungersi all’anima che lui stesso ha lasciato in questo luogo.
Questa è la cronistoria della giornata di Rolando Piazza, protagonista dell’impresa effettuata a mio nome:
Sono le sei del mattino, sono appena partito da Sega di Vallarsa, approfittando di un passaggio in macchina di mia figlia che partivano per Jesolo. Mi sono fatto scaricare al Passo Pian delle Fugazze e ho iniziato il cammino con destinazione Selletta Damaggio.
Ho iniziato la salita percorrendo la strada Val di Fieno in perfetta solitudine, solo un paio di camosci mi hanno salutato. Arrivato al bivio per la scorciatoia per la galleria d’Havet, mi sono posto un dubbio amletico: percorrere la comoda ma lunga carrozzabile o tagliare per il sentiero più impervio. Conscio del mio scarso allenamento, la scelta logica sarebbe stata quella di percorrere la carrozzabile, ma la logica a volte rimane chiusa nello zaino. Mangio una pesca, dei bei sorsi d’acqua e mi avvio per lo scortolo ripido, forse mi sono lasciato trasportare dai camosci.
Dopo dieci minuti comincio già a zigzagare per cercare di rendere più comoda la salita. Pausa per foto. Pausa per bere. Pausa… pausa per ascoltare l’unico rumore dei battiti cardiaci a tutta velocità. Vengo superato da giovani e agili escursionisti vicentini, ma andare in montagna non è competizione. Saluto con poco fiato e lascio passare.
Finalmente supero la galleria e inizio la Strada degli Eroi, vedendo in lontananza la prima tappa: il Rifugio Papa… un miraggio. Sconvolto, vengo superato dal fuoristrada del gestore del rifugio che veramente con pazzia percorre la strada che sotto ha dei salti di roccia di un centinaio di metri. Sorrido, saluto e penso che se si ferma gli chiederò un passaggio. Lui saluta e prosegue, meglio così!
Non guardo mai l’ora quando cammino, ma saranno le nove passate e mi gusto un caffè al rifugio. Siamo in pochi in giro. Meglio così, il Pasubio e la zona sacra sono tutti per me. Mi metto a ridere leggendo le indicazioni “Cima Palom” cinquanta minuti… spero solo di arrivarci. Altro che cinquanta minuti.
Lo zaino mi sembra stranamente pesante, ma forse sono tutti i chili in più del mio corpo che fanno uno zaino in spalla e uno sulla pancia!
Allegri ‘Taliani (così in Vallarsa chiamiamo ancora i vicentini) mi superano, salutandomi, e continuano a chiacchierare con il loro bell’accento, ma dove hanno il fiato.
Io non parlo, respiro a bocca aperta, potevo stare a dormire, ma poi chiedo aiuto al libro che ho nello zaino.
Dai Tenente dammi una mano… son Tenente anch’io! Dopo cinquanta minuti, più altri parecchi supero Soglio dell’Incudine, il casone e la caverna sotto il Palom. Sono all’ingresso della galleria Papa, che in discesa porta alla Selletta. Prendo la torcia, ma mancano solo venti metri per la Cima Palom… vai che facciamo anche quelli. Le gambe sono di legno larice dure, ma il panorama da lassù fa dimenticare… stupendo.
Torcia a manovella dell’IKEA e giù per i gradoni da cinquanta centimetri l’uno della galleria Papa, esco alla luce. La Selletta Damaggio è lì… dieci metri sotto di me.
Mi suona il cellulare. Stranamente c’è campo. Numero sconosciuto… è Vera dalla Sicilia.
Con un tempismo miracoloso faccio fatica a capire… l’emozione mia e sua sono indescrivibili.
Credo stia piangendo, e anch’io sono commosso. Le dico “dai che ci sentiamo tra dieci minuti quando sarò arrivato alla Selletta” metto giù, ma poi penso che son proprio cotto. Non sono a dieci minuti dalla Selletta … sono solo a dieci metri.
Prendo fiato depongo il libro.
Scatto foto, qualche Messenger con Vera. Mi richiama. Parliamo come se l’avessi sempre conosciuta… un’emozione.
Leggo a voce alta la sua poesia che mi ha inviato. Non c’è nessuno ma non mi sarei fermato ugualmente.
Mangio il mio pane e formaggio. Turisti incuriositi raccolgono dai sassi il libro. Gli racconto perché è lì.
Non ho fame, guardo il libro, rileggo un po’… saluto Salvatore.
Il sole è a picco, riparto. Giretto nelle caverne del Dente e poi salgo la scalinata per la sommità del Dente Italiano, è pieno di gente, anche troppo chiassosa, visto il luogo.
Scendo dai grossi massi dell’esplosione, supero il vallone tra i due Denti che m’immagino ancora quanti morti Ha visto.
Trenta metri di salita e anche sul Dente Austriaco mi perseguitano gli stessi pensieri.
È vero … quando si arriva in cima a una montagna, non puoi fare altro che scendere. Ho davanti la traversata del Pasubio, scelgo di passare sotto il Roite verso la Bocchetta delle Corde.
Sono cosciente che ho davanti due ore per la traversata fino alla bocchetta sotto al monte Testo, mezz’ora per la bocchetta Val di Foxi – Monte Corno Battisti, e tre ore di discesa dalla Val di Foxi.
Io ne sono cosciente, ma non lo sono le mie gambe e i miei piedi. Cammino piano, respiro piano, bevo e mangio piano, ma il tempo passa, piano piano. Ricordi d’infanzia, camminando con Luciana, mia sorella, che da piccolo mi ha accompagnato in questi luoghi.
Alle 17.30, senza aver visto un’anima se non caprioli, serpenti, camosci… caldo e sole ritorno alla civiltà. Ad Anghebeni le prime macchine mi danno quasi fastidio.
Il mio cagnolino Briky mi saluta con un’affettuosa leccatina. Saluto la moglie per telefono perché uscita solo pochi minuti prima. Svuoto lo zaino, è rimasta una mela, un pezzo di pane, la crosta del formaggio, fette di prosciutto a temperatura forno, le gambe dure come pezzi di marmo e i piedi fumanti e con vesciche spaventose. Faccio fatica a salire le scale per salire in casa. Guardo gli scarponi con disprezzo. Un pensiero ai figli spensierati a Jesolo, un pensiero alla moglie.
Una birra… per crisi di astinenza!
Lo zaino è vuoto ed io più vuoto dello zaino di energie… prendo il libro di Vera e trovo lo zaino … el prosac come io lo chiamo, pieno di emozioni, di sudore, di lacrime e di vita…
Mai “el me prosac” e il mio cuore hanno vissuto emozioni tali… ritrovo pietre, sangue, morte e vita, ritrovo Vera e Salvatore, ritrovo una terra senza confini…
Lo zaino è pieno …