Questo poemetto, che infine di questo si tratta, della Rossitto ha inizio con il Proemio, dove l’autrice inizia la sua esposizione poetica chiedendo perdono ad Omero per la sua intrusione nei meandri della ciclopica opera dell’Odissea e continua identificando se stessa con i vari personaggi femminili incontrate da Ulisse durante il suo periglioso rientro ad Itaca dopo la distruzione della città di Troia e, oltrepassando ogni limite, finisce per identificarsi anche nella stessa figura dell’eroe greco.
In effetti ha ben donde l’autrice di chiedere venia ad Omero, poiché da questo suo poetico lavoro, tutto il castello di considerazioni psicologiche avanzate dall’aedo per eccellenza del mondo greco, crolla e si arena sulle rive sabbiose di un nuovo modo di concepire la femminilità alla luce di una analisi del tutto sentimentale ed innocua, che infine risulta aperta critica al passato.
I vari personaggi femminili, a cominciare da Calipso, Circe, Penelope, Nausicaa e le stesse sirene, introdotte nell’Odissea come un riempimento per esaltare la figura di Ulisse, finiscono per diventare le vere protagoniste nel poema, mettendo in ombra la figura dell’eroe nonostante le sue decantate virtù, che sembrano ben poca cosa nei confronti di una grandezza volta tutta al femminile.
L’autrice ottiene tutto questo semplicemente descrivendo le sensazioni di queste donne, trascurate del tutto da Omero, a cui interessava evidenziare solamente la forza, l’astuzia, l’amor di patria, la vendetta, il maschilismo del suo eroe.
Ecco quindi emergere i sentimenti delle donne abbandonate, a volte con sprezzo, dall’eroe greco, sentimenti che evidenziano il loro alto valore morale ed umano del tutto trascurato da Omero.
E’ possibile così scoprire il dolore di Calipso per l’abbandono, la disperazione di Circe, non più la maga adescatrice di uomini nobili e virtuosi, la delusione di Nausicaa, non più l’ostacolo sinuoso e silente al rientro ad Itaca, la felicità repressa di Penelope, che non è più la sottomissione al marito assente ed anche le stesse sirene, ammaliatrici irriguardose del mare, diventano delle sofferenti donne impedite nel loro desiderio insoddisfatto di possedere quell’uomo strettamente avvinto al palo dalle improvvide corde.
Inoltre nell’identificarsi con Ulisse, emerge la parte femminile dell’eroe ignorata da Omero e che si manifesta nel sentire egli stesso il diverso impulso dei sentimenti delle donne con le quali è venuto in contatto durante il suo viaggio, che possiamo identificare all’umano sostare dell’umanità in questa nostra vita.
Ecco quindi che Ulisse non appare più come il marinaio dalle avventure amorose in ogni porto che tocca, il caparbio esploratore di mondi nuovi, come lo descrive anche Dante, non più l’uomo forte capace di tendere l’arco, di cui altri uomini non sono capaci, non più il vendicatore sagace dell’onore inteso come possesso della sua donna, l’astuto vincitore del Ciclope e dei Proci, non più lo sprezzante virtuoso capace di respingere le tentazioni femminili d’ostacolo al suo amor di patria.
La sua mitica figura di eroe viene mitigata e ridotta piuttosto a quella di un uomo pieno di pregiudizi, di cui il peggiore è quello di sentirsi al di sopra dei sentimenti intimi delle persone e soprattutto alle donne che risultano nel suo complesso delle semplici appendici al suo vivere trionfante di eroe.
Ma ssicuro che Omero ha da essere certamente incavolato per l’opera dell’autrice, la quale riesce a rovesciare tutto il suo castello costruito intorno al suo Ulisse, con un poemetto semplice, schematico, piacevole a leggersi con una tecnica espressiva surrogata da versi brevissimi e con l’introduzione di termini talvolta blasfemi alla luce delle regole grammaticali, ma profondamente incisive nell’intento da sembrare singhiozzi di commozione, laddove egli impiega un colossale poema ricco di versi ridondanti di magiche espressioni, di lunghe dissertazioni poetiche, ma anche retoriche, scomodando l’intero olimpo del mondo greco e le superbe figure di personaggi mitici.
E’ come paragonare il trionfo del piccolo Davide nei confronti del mastodontico Golia.
Un altro motivo del risentimento di Omero è senza dubbio l’aver richiamato, la nostra autrice, la funzione del coro, tipica delle tragedie greche, di cui il sommo poeta non si serve, ritenendo bastevole il suo dire.
Sentire la voce delle donne che condividono in coro i sentimenti di ogni singolo personaggio potrebbe essere considerata una novità, che tale non era nella letteratura teatrale antica del mondo greco, di cui la nostra autrice dimostra di conoscerne gli estremi.
Non posso non evidenziare, infine, la stupenda descrizione della figura di Penelope, tratteggiata veramente con una delicatezza sentita e di gran lunga superiore, a mio avviso, a quelle degli altri personaggi, compreso Ulisse che appare nel titolo del libro.
Nel concludere, mi preme evidenziare non solo la piacevole tecnica espressiva della Rossitto, ma la sua profonda conoscenza del mondo classico greco ed una consapevole facoltà di analisi del mondo femminile rapportata alle problematiche esistenziali.
Siamo effettivamente in presenza di una donna, anzi di un’artista, colta, sensibile, attenta e profondamente cosciente dei valori dell’essere donna, senza, per altro, inveire nei confronti dell’altro sesso.
Ella riesce a dimostrare di essere lei il vero Ulisse, solamente adoperando la sua sensibilità e la sua vena poetica e con una signorilità che si addice ad una grande donna.
Pippo Nasca