Già il titolo del libro che richiama alla memoria il nettare e il mitico cavallo alato Pegaso, predispone ad un lettura dolce, gioiosa e fantasiosa e tale si rileva fin dalla premessa:
Più sottile d’un fil di fumo
Diventammo nuvola
Diventammo goccia
E scoprimmo d’esser acqua
Sol quando ci abbracciammo al fuoco.
Su questo tema si svolge tutto il contenuto espresso con i soliti versi di diverso calibro sillabico ed effetti tonici, che ignorano la punteggiatura, tranne qualche sporadico punto, giusto per separare un concetto da un altro che segue.
È da dire, in proposito, che la punteggiatura diventa superflua, poiché la sua funzione viene assorbita dall’ampiezza di ogni singolo verso, magistralmente posto.
Aggiungo che tale soluzione dà un tono più sbarazzino e moderno a tutta l’opera, che si adatta moltissimo all’argomento trattato, infarcito di immagini veramente fantastiche che poggiano però solidamente su una realtà tangibile e coreografica.
Il contenuto del poemetto è un racconto, anzi, un quadro che graficamente illustra le sensazioni di due amanti nello spazio di una notte, destinato a ripetersi finché la forza dell’amore lo consente.
Esso procede per immagini traslate in un mondo parallelo di sensazioni veramente naviganti sulle ali di Pegaso e degno di voli pindarici che lascia meravigliosamente stupefatti per la ricchezza di orpelli poetici attentamente studiati.
Nulla è fuori posto. Ogni immagine pindarica coincide con la realtà effettiva dell’avvenimento erotico, descritto fin dall’approccio iniziale a quello finale con dovizia di particolari e di dettagli rigorosamente esaltati.
Dai versi, ora dell’uno, ora dell’altra, emergono le varie tappe di tutto l’avvenimento che si consuma nell’arco di una notte.
Il corteggiamento iniziale con l’ansia dell’attesa teso a superare incertezze e remore, mostra la lucentezza delle stelle e della luna che brillano nel buio della notte e chiama in causa anche una semplice nuvola
“che d’estate ristorandosi al calore
aspetta che in terra faccia ritorno”
Ed ecco l’esortazione incoraggiante di lui :
“Nega la tua esistenza e lasciati andare”,
cui corrisponde la risposta rassicurante: di lei:
“Non è la vita – principio d’ogni cosa –
a straziarsi nella morsa dell’attesa?”
Non manca la paura dell’approccio da parte di lei:
“Sono fragile foglia se mi sfiori
con mani impazienti”
“ Indossami come una calza
… caso mai una calza vesti e non denuda.
Ma ecco che con l’inizio dei preliminari lo scenario si allarga e viene descritto fantasticamente nei minimi particolari senza per altro incedere nel turpiloquio.
I versi e le immagini scivolano e si attardano nella descrizioni degli eterei gesti delle scene, descritti come fondamentali e necessari, e infine giunge lo spasmo finale con i limiti imposti della natura che nell’attesa della ripresa costringe lui al riposo e lei all’autoerotismo per prolungare… gli scalpiti di Pegaso.
Non mancano i riferimenti al sinuoso mondo erotico del mito, scomodando finanche gli spasmi del mitico Sisifo, la lunga attesa di Penelope, le potenzialità di Giove, il fantastico riferimento al tridente di Nettuno che supera di gran lunga la pur efficiente unica spada del guerriero Marte, l’immagine del dardo scoccato, che ritorna all’arco nel suo andirivieni di tensione, e l’ironico riferimento al marinaio Ulisse, che accecato dalla furia delle onde riesce ad entrare in porto con … un solo remo.
Infine, con lo sparire della notte e delle sue penombre nell’albeggiare del giorno la stasi regna, foriera di vita, ma di un riferimento alla leggerezza malinconica dell’essere espressa dalla figura finale del cigno, l’uccello dal lungo collo, che, però, non si è mai sentito cantare. Bello, maestoso, ma irraggiungibile nelle sue prestazioni … canore.
Mi è piaciuto e non poco il mancato riferimento a Venere, Dea per eccellenza dell’amore, sostituita dalla figura più completa di Giunone, che dal suo seno amoroso di moglie ha fatto scaturire più volte la vita. È chiaro il connubio mitico che esiste tra l’amore e il dare la vita, espresso dalla figura della moglie di Giove e ignota in Venere. Così il rapporto amoroso non resta relegato a semplice atto erotico a sé stante, ma assume la funzionalità che la provvida natura gli ha assegnato.
È questo uno spiraglio sottile di spiritualità che si insinua nel mondo di edonismo descritto senza freno, poiché, chiaramente, l’opera è distante mille miglia dalle espressioni amorose del dolce stil novo di Dante e Petrarca, dei sospiri romantici del Leopardi e delle aspirazioni religiose del Manzoni, nonché delle elucubrazioni funeree del decadentismo o delle leziosità eteree e sognanti di Liala.
Siamo in presenza di un’opera che si inserisce sopra tutto nel solco dell’edonismo erotico e sensuale, nato in verità in tempi remoti, ma attualmente alimentato dalla moderna visione della donna, non più schiava d’atavici tabù, ma libera d’accedere, a parità con l’uomo, alle fonti del piacere.
Un plauso va all’autrice Vera Ambra per la delicatezza di espressione veramente singolare e fuori dal comune, che ha pure corrotto una valente conoscitrice della lingua italiana, la quale si è peritata di tradurre in lingua spagnola i suoi caldi e conturbanti versi.
Per chi non lo sapesse la poetessa “Fàtima Rocio Peralta Garcia he editado la traducion en espagnol de PEGASIUM NECTAR de Vera Ambra”.
In premessa ella dichiara esplicitamente che la traduzione di queste poesie le hanno dato la sensazione di essere una ninfa dell’olimpo e di aver scoperto in questi versi un mondo nuovo.
Conclude la sua introduzione con queste lusinghiere parole:
Resumendo en breve puedo decir que la obra de Vera Ambra es …
Un delirio de palabras
ambrosìa en los labios
piel amante del Olimpo
amalgama de pasiones.
Ecco, dunque che la nostra Autrice, cavalcando Pegaso nelle sue alate evoluzioni, sorvola gli Appennini, le Alpi, i Pirenei ed anche l’azzurro mare nostrum latino e raggiunge la Spagna per allietare anche lì chi legge questo gioioso libretto di poesie.
Pippo Nasca