Si tratta di un’opera che raramente va in scena. La critica del tempo l’ha licenziata come operetta, e anche su questo non vi sarebbe nulla da dire perché si tratta di una forma di espressione di rispetto. Ma la Rondine è un’opera, anzi una commedia lirica, come recita la locandina. Dire che non è dello stesso livello delle altre è un luogo comune che si è trascinato nei tempi mettendo questo capolavoro ai margini delle produzioni pucciniane.
Anche in questa composizione Puccini riesce a toccare le corde dell’animo umano. Il primo atto è malinconico. Lo sono anche i due comprimari Lisette e Prunier, nonostante i loro ruoli sono brillanti. Un alone di tristezza accompagna anche il secondo atto, nonostante il clima gaudente. Nel terzo atto si conclude amaramente la vicenda. Magda, non muore. Non si uccide, ma rinuncia alla sua fetta di luna perché non si sente degna di essere accolta in una famiglia onesta. Un finale che lascia lo spettatore con l’amaro.
Questa donna che rinuncia alla felicità dell’amore per salvare un uomo perbene da lei stessa, una cortigiana, ha tutto il diritto di entrare nella sfera delle eroine pucciniane.
Il maestro Gianluigi Gelmetti, che si è occupato anche della regia e ha saputo ben sottolineare i momenti di maggior pathos. Un allestimento elegante, fedele ai costumi dell’epoca.
Gli artisti sono stati tutti all’altezza dei loro ruoli.
Un plauso merita la direzione artistica per la scelta di quest’opera.
Una bella rappresentazione nel suo complesso.
Alessandro Scardaci.
Foto di Giacomo Orlando