Nel ringraziare l’autrice dello splendido romanzo “Piume baciatemi la guancia ardente” e gli organizzatori della manifestazione cui sono onorata di partecipare nel duplice ruolo di responsabile della sede di Roma della prestigiosa Società Umanitaria oltre che in qualità di autore e critico (ma – consentitemi di rivolgere un pensiero a mio nonno - sono anche nipote del tenente dei Bersaglieri di cui porto il cognome e dunque lusingata di essere in questo luogo così carico di storia).
Permettetemi di introdurre il mio intervento in questa giornata di grandi emozioni con un breve cenno all’importanza dell’Ente che rappresento nella Capitale d’Italia, ricordandone l’opera agli inizi del secolo scorso ed in particolare nel periodo storico che oggi, a cento anni di distanza, siamo qui chiamati a celebrare.
Il ruolo della Società Umanitaria negli anni della grande guerra:
Negli anni ’10 del 1900 le strutture che vedono l’opera della Società Umanitaria impegnata: la casa del lavoro (diretta da una grande donna quale fu Alessandrina Ravizza), la cassa di sussidio alla disoccupazione, gli uffici di collocamento, la casa dei bambini (istituita insieme con Maria Montessori) riconoscono che lo sviluppo sarà necessario per provvedere agli aumentati bisogni del momento.
L’Umanitaria crea quindi l’ufficio interregionale per il collocamento agricolo così per facilitare gli spostamenti dei lavoratori della terra – quelli non chiamati alle armi, e per procurare occupazione ai disoccupati; intensifica l’assistenza ai rimpatriati e alle famiglie dei residenti all’estero; crea le scuole per disoccupati e mette in campo ogni mezzo per proteggere gli orfani e i figli dei dispersi. Crea l’Ufficio Informazioni e Traduzioni e le scuole-laboratorio d’arte applicata all’industria.
Oltre 175mila tra profughi, internati ed emigranti vengono ospitati nel 1917 nella Casa degli Emigranti creata dall’Umanitaria, e nel 1918 se ne aggiungono altri 160mila. Nel giro di cinque anni vi passarono quasi mezzo milione di emigranti senza distinzione di partito né di religione.
Per sopperire alla carenza di spazi, proprio durante la prima guerra, la Società Umanitaria allestisce un campo di smistamento profughi presso la Villa Reale di Monza, insieme ad una rete di sedi e uffici di corrispondenza sparsi per l’intera penisola (da Tirano all’Aquila, da Padova a Modena, da Udine a Firenze, da Ventimiglia a Cesena) e all’estero (da Basilea a Marsiglia, da Monaco a Strasburgo), che permettevano di avere il polso della situazione economico-sociale dentro e fuori il Paese e di attrezzarsi per porvi un qualche rimedio.
Note a PIUME BACIATEMI LA GUANCIA ARDENTE di Vera Ambra
Passione e rigore: in queste due parole è riassunto lo spirito che anima l’uomo a cui Vera rende omaggio con quest’opera. Sono le parole chiave per svelare la personalità e la psicologia di Salvatore Damaggio, eroe militare e umano che l’autrice tratteggia in maniera asciutta e assolutamente efficace fino a renderlo visibile al lettore. L’autrice nel raccontarci la vita e il travaglio dell’uomo prima che del soldato, lo fa rivivere dinanzi ai nostri occhi con tutta la sua forza ed il suo entusiasmo ma anche le sue debolezze, il senso di frustrazione e di amarezza, il suo non riuscire a comprendere le dinamiche enormi in cui è trascinato suo malgrado. “vi sono momenti nella vita in cui un uomo deve fare i conti con se stesso, magari sentirsi orgoglioso di ciò che è diventato, di ciò che fa o che ha fatto, perché nel proprio io è un uomo pieno di spirito e voglia di vivere…” e ancora “ …quattro lunghissimi anni trascorsi lontano dagli affetti in prima linea sotto la mira costante del fuoco nemico, e poi mandato via perché non servivo più…” Amarezza, frustrazione ma anche orgoglio e forza di ricominciare, sono le qualità che emergono dal profilo del personaggio descritto in questo romanzo.
Grazie alla scrittura “semplice ed immediata” il lettore immagina nitidamente il medico Damaggio, lo vede con il camice indosso, nel suo studio nel sanatorio di Ascoli o in corsia nel vano tentativo di lasciarsi alle spalle gli anni da tenente. Traspare ed emerge la figura di un uomo fortemente provato che cerca in tutti i modi di fuggire ai ricordi indelebili che lo inseguono e da cui non potrà mai liberarsi. Fantasmi ora immaginari ora che hanno sembianze di persone che hanno condiviso momenti terribili e che lo cercano, costringendolo a rivivere immagini ripugnanti: un dolore inaccettabile.
La memoria dunque: la memoria come ricordo indelebile e bruciante dell’esperienza terribile vissuta dal giovane militare, quella memoria che lo insegue e che Damaggio tenta di allontanare. Ma memoria intesa anche come restituzione doverosa ai posteri dall’eroe – dimenticato – che con questo romanzo si vuol celebrare.
La drammaticità della guerra, descritta dalla trincea, con il suo carico di orrore, di dolore, di morte. Indelebile per chiunque probabilmente, come impossibile da cancellare deve essere stato l’odore penetrante e terribile che riempiva le narici e inondava l’aria: l’odore della guerra che il Damaggio prova inutilmente a coprire con l’odore di disinfettante allo stesso modo in cui, dedicandosi alla medicina alla ricerca ed ai malati, cerca disperatamente di vincere la morte, quella stessa a cui egli aveva dovuto pagare un prezzo altissimo per salvarsi: uccidere.
Un lavoro senza dubbio doloroso per la coraggiosa autrice Vera Ambra, nel cui libro la trama storica è ben dettagliata ma resta comunque a fare da sfondo alla vicenda umana, che invece risalta nitidamente grazie all’abilità stilistica e all’equilibrio con cui le vicende vengono narrate. L’inserimento della giornata di celebrazione del tenete Damaggio da parte dei Bersaglieri e dell’Esercito Italiano è il meritato riconoscimento all’impegno della nostra amica siciliana per aver scavato “a mani nude” e con profondo coinvolgimento nelle pieghe delle pagine terribili della storia pur di rendere omaggio alla passione ed alla memoria del suo eroico concittadino.
Elena Cordaro