Su Wikipedia è facile trovare il nesso tra l’ultima fatica letteraria di Vera Ambra e l’intento sociologico della scrittrice.
Basta leggere alla voce romanzo storico:
Il romanzo storico è un’opera narrativa ambientata in un’epoca passata, della quale ricostruisce le atmosfere, gli usi, i costumi, la mentalità e la vita in generale, così da farli rivivere al lettore. Secondo l’Enciclopedia Britannica, un romanzo si definisce storico quando “è ambientato in un’epoca storica e intende trasmetterne lo spirito, i comportamenti e le condizioni sociali attraverso dettagli realistici e con un’aderenza (in molti casi solo apparente) ai fatti documentati. Può contenere personaggi realmente esistiti, oppure una mescolanza di personaggi storici e di invenzione“.
Questa lunga citazione enciclopedica ci introduce nei meandri affascinanti e coinvolgenti della ricostruzione storica attraverso la letteratura di fantasia.
Potrebbe sembrare un percorso quasi contraddittorio: non si tratta forse di un vero e proprio Ossimoro letterario?
Come è possibile trattare la materia incandescente della riproposta della realtà storica attraverso la fantasia?
Si potrebbe risolvere il problema indicando come finalità dello scrittore soltanto un godimento letterario che si giova e si ciba di un condimento raffinato e saporito: la storia.
Quindi un fine estetico e basta.
Ci sono stati molti romanzi storici che potrebbero essere messi in questo scaffale di puro estetismo letterario. La storia e l’aggancio magari labile e impreciso con la storia solo come orpello in più, un gioiellino sulla pelle scoperta dell’emozione letteraria.
Ma “Piume baciatemi la guancia ardente” non è un divertissement letterario. L’intento pedagogico ed educativo è evidente, palpabile e continuo. Questa tendenza nella struttura del romanzo che forse negli anni beati del 1980 e giù di lì poteva sembrare una pecca, nella società odierna, slabbrata e confusa, meschina e volgare, in questi nostri turbolenti giorni, può diventare una ipotesi di lavoro credibile, diventa la lente di lettura vincente.
I miei professori (sono stata matricola a Lettere nel 1968/69) mi dicevano all’università: «Un vero scrittore deve scomparire dai suoi libri, il personggio deve esistere sulla pagina, palpitare e non far capire quali sono gli intenti narrativi dello scrittore.»
Ma oggi far letteratura così significherebbe appunto fare letteratura e basta. Ed oggi non ce lo possiamo più permettere. Siamo alla deriva culturale, sociologica e così via.
L’opera di Vera Ambra ha più intenti. Non solo la bella penna.
Una, tra le ipotesi di lavoro della scrittrice, può sembrare la più forte: riproporre un personaggio di ieri poco valutato e invece forte e significativo.
Una letteratura celebrativa allora? Sarebbe stato facile cadere in questa trappola infernale.
Le letteratura celebrativa spesso si arena in una opacità che è esattamente il contrario dell’intento iniziale. Perché il lettore avverte, sente, subisce la bacchetta dell’autore che dirige una musica scontata, uno spartito che serve appunto a celebrare.
Quasi una serenata all’ovvio, allo scontato.
Ma Salvatore Damaggio non è un applauso e basta. Il personaggio vive veramante sulla pagina, quasi l’autrice ne porta la divisa, palpita di un cuore che ripropone tutta la verità di una vita dedicata a ideali e certezze che costruiscono un carattere che rappresenta le più belle virtù italiane.
Non solo in senso e nel campo marziale.
Salvatore Damaggio è un uomo.
Un uomo del suo tempo ma un uomo che può essere vivo e verace anche oggi, anche nei nostri libri di scuola rivisitati e corretti.
Un uomo che può diventare esempio, non solo racconto, lezione e non solo riproposta, cammino e non solo strada già percorsa.
Molto lavoro di ricerca e confronto tra i documenti sostengono la penna di Vera Ambra, è nota la capacità generosa e prorompente della scrittrice nell’impegno e nella costanza. Ma il lavoro non risulta un approfondimento e basta. Non ci troviamo di fronte al lavoro tra gli archivi e le carte. Qui si è verificato il miracolo “delle sudate carte”, la fascinazione della ricerca bibliografica ha colpito al cuore la scrittrice che diventa, interagisce emotivamente, con la figura de tenete Salvatore Damaggio. Leggendo sentiamo le piume sulla guancia quasi portassimo anche noi quel cappello onorato e amato, il cappello bellissimo dei bersaglieri.
E i monti sono tappe che anche noi ripercorriamo, e arretriamo con i soldati, sentiamo le ferite, ricordiamo la casa lontana.
La brevità dei capitoli, l’andamento del romanzo è a singhiozzo! Un pianto che accomnpagna il ricordo, la volontà di onorare quei corpi martoriati, la dolcezza dell’amore verso l’arma dei bersaglieri.
Si dice che la Poesia si attardi nel momento sublime tra la virta e la morte.
È forse lì la sua dimora. Così Vera Ambra ha fatto seguire il libro da una poesia dedicata agli eroi di quei giorni terribili . Nella poesia Ai caduti del Pasubio alcuni versi mi hanno coplito in modo particolare:
Gli Eroi hanno mani e occhi che sanno di nostalgia
e le loro anime spensierate penzolano
attraverso la stoffa del tempo
intessuta e segnata e poi strappata lenta, lenta
lungo i fianchi del Pasubio e tra gli
orizzonti delle notti nascenti.
A fatica poggiano sul terreno i piedi
poiché le loro anime non hanno più una casa
abitano nei cuori di chi non se li scorda.
E’ compito della poesia, degli scrittori, dei poeti, tenere viva la memoria. Ma quando dico viva voglio dire di più: non solo il ricodo, non solo il racconto, non solo il riconoscimento.
Alla fine di molti capitoli del libro sentivo un singhiozzo ed era il mio, e mi sono domandata più volte: “E se quel soldato avesse la mia voce?”
Perché la voce del dolore è simile nei tempi e negli spazi, la voce dell’onore resta immutabile nei cieli. Così ci accorgiamo alla fine del libro di Vera Ambra che quella piuma continua a baciarci la guancia che nel ricordo e nell’identificazione ha trovato quell’ardore e quel vigore forse sconosciuto nei nostri tristissimi giorni.
Giorni che assistono svagati ed inermi a morti tremende nei mari. Così siamo tutti naufraghi di una cultura che muore.
Libri come quello di Vera Ambra possono forse svegliare gli animi dal sonno dell’ignavia.
Anna Manna