Tempo fa, parlando con un’amica, riflettevo su che cosa abbia la capacità di resistere al tempo. Un film, un disco, un libro…
… Ecco, un libro. Ci sono opere letterarie che dopo qualche anno sono illeggibili, in quanto figlie del periodo in cui sono state realizzate. Hanno il fiato corto: le riprendi in mano e dici come sono superate, tanto sono confinate dentro un sentire momentaneo e superficiale. Sono quei libri che anche se li presti, non ti curi che ti vengano restituiti, anzi, stiano pure nella libreria dal nuovo proprietario.
Poi ci sono i libri che se li leggi tra cent’anni – io non potrò ma è per esemplificare – saranno ancora attuali, ti diranno cose, ti emozioneranno, ti faranno pensare, ridere e piangere.
Nella mia percezione, questi libri hanno un nome preciso: classici.
È il caso delle poesie di Alessandra Felli, raccolte nel volume Io confesso.
Attacchi a leggerle e ti ritrovi in universo viscerale, dove il dolore e la gioia, la carne e lo spirito, creano trame decise e forti. Alessandra Felli non è la poetessa dei toni ineffabili, evanescenti, stilnovistici come noi uomini erratici e crepuscolari tentiamo erroneamente di fissare la donna e la donna che fa versi.
Qui tutto è plastico, materico, sbalzato a caldo, nelle immagini e nel lessico.
Posso dire che per intensità e compiutezza, le poesie di Alessandra Felli mi ricordano il passo chiaro e insieme corrusco dei lirici greci? E, viaggiando nel tempo, sento la voce di Sylvia Plath? Esagero? Provate a leggerla.
Entrerete in un mondo altro – devoto al dio Eros – pieno dell’inarrestabile curiosità per la vita, della capacità di ricominciare, reinventandosi sempre. Il tutto raccontato con un respiro dolente e prezioso che è la cifra degli spiriti eletti.
Si vola in alto con Alessandra Felli, anche quando il punto di partenza può essere l’abisso.
Carlo Lottek Landriscina