Il libro ‘La felicità era, forse, il male minore’ è una gemma improvvisa, un incanto che rapisce dalla prima fino all’ultima pagina, fruibile ed estremamente godibile, un libro “da bere” non in un unico sorso ma centellinandolo in brevi sorsi, solo così se ne può assaporare ogni singola frase, che, a tratti, sa essere poesia in purezza.
Le citazioni riportate non appesantiscono né rallentano il dinamismo del dialogo, perché di per sé capaci di aprire e chiudere parentesi, che si inseguono in ragionamenti complessi eppure semplici nelle modalità in cui si presentano al lettore.
Pochi cenni autobiografici, tuttavia estremamente funzionali al contesto, consentono di far planare il discorso, divenendo àncore necessarie per non sforare nel metafisico. Dialogo di matrice socratico/platonica ma che sa essere anche aristotelico, filosofeggiante ma non troppo, tutto viene giocato sul filo di un raffinato, quanto riuscito, equilibrio.
Lo stile narrativo degli autori, è diverso ma complementare, il loro interagire si incastra perfettamente come tasselli di un puzzle dai colori contrastanti ma non dissonanti tra loro.
In questi casi vi è sempre il rischio di un divertissement per pochi “eletti”, un libro elitario che possa sfiorare un gusto “radical chic”; invece ci si ritrova piacevolmente sorpresi nel leggere uno scritto, sicuramente colto, ma che di per sé non è puro e semplice sfoggio di cultura, bensì dialogo entusiasta, voglia di raccontare emozioni, pensieri, riflessioni, e perché no, anche di raccontarsi.
Le citazioni colte diventano corollario, passpartout, a volte necessario per veicolare, efficacemente, ricordi e pensieri.
Ecco Marinella Fiume, studiosa di culture autoctone, dal retrogusto religioso…
Ecco Santino Mirabella che, pur non privandosi delle tanto amate citazioni (e qualche autocitazione) segue un filo narrativo, nuovo, tra ricordi, emozioni, e sensazioni.
I due autori si pongono domande che potrebbero aprire finestre su altri temi e nuove riflessioni:
“Ma le emozioni ci appartengono o siamo noi a regalarci ad esse?”.
Bella, e particolarmente efficace, l’immagine della pietra, come metafora delle fasi ascendenti e discendenti della vita, funzionale per visualizzare la lotta, tra volontà e la vita stessa, tra ciò in cui si può incidere e quel che si può solo subire; la vita, vissuta tra l’essere protagonista e spettatore, al tempo stesso, di ciò che è e non può essere cambiato; ma sempre e comunque nel tentativo di cambiare la natura stessa della percezione degli eventi, scavandovi dentro.
“Non sono pietra e d’essa solo sento la consistenza dentro, ma non il peso fuori. E voglio essere pietra d’Icaro, perché un sole non lo vedo e quindi del bruciarmi non temo”.
Vi sono infiniti spunti, ognuno capace di per sé di generare un altro libro a parte.
”La morale, la logica, il giusto e l’astruso si fondono in quel che si ritiene, invece che in quel che si vuole. E nel fondersi troppo spesso generano l’ingiusto, l’illogico. E il doloroso……..anche perché del far qualcosa di giusto ma doloroso ci hanno insegnato le meraviglie. Ma mai una medaglia da portare sull’anima come una scintilla rapinata al vento.”
Un passaggio sublime, capace di, esprimere in pochissime parole, quanto il dovere sia nemico per antonomasia della felicità, a differenza della serenità che ne costituisce comunque un tassello.
Un susseguirsi di parole, frasi, che si estrapolano dal contesto che le ha generate e vivono di vita propria, perché “più passa il tempo e più mi accorgo di non avere mai imparato a dividere il vero dal sogno e il sogno dal mistero. E tutto quel che ho vissuto mi sembra sempre di averlo solo immaginato.”
Un viaggio nel tentativo non vano di comprendere cosa sia la felicità, degli accostamenti della stessa con i concetti cardini della nostra esistenza: felicità/morte, felicità/tempo, felicità/vita; ne scaturiscono riflessioni che incidono nell’animo del lettore più attento, e se non forniscono una visione univoca delle felicità, ne danno, tuttavia, diverse ed interessanti chiavi di lettura e declinazioni. È un libro che si destreggia molto bene tra filosofia, incanto, sogno e poesia.
Sono stati coraggiosi, Santino e Marinella, ad affrontare uno tra gli argomenti più atavici dell’esistenza umana, ed anche il più inflazionato, per certi versi; destreggiandosi bene tra voli pindarici e riscontri reali, senza mai sfiorare l’ovvio o il banale.
E alla fine due apologhi. Una storia vera di Marinella-professoressa e la lezione di una bambina alla sua classe, e la perla della “Storia di un apostrofo e del suo viaggio a ritroso” di Santino, un immaginifico itinerario di un apostrofo che sulla sua pelle e sul suo ruolo capisce e racconta la felicità.
Un libro da non perdere, come solo per pochi libri si può dire.
Roberta Lo Re