Nonostante le avversità che il mondo dello spettacolo sta vivendo, le cui cause sono note a tutti, l’Arena, intesa come istituzione, risorge ogni anno con la propria forza e fierezza di sempre.
L’arena è un meccanismo dagli innumerevoli ingranaggi: dalla ragazzina che gira tra le persone con programmi e libretto, che con voce simpatica urla: “Libretto dell’opera, programma in italiano, english, deutsch”, alle hostess che gentilmente danno il loro supporto agli spettatori. Dai tecnici che lavorano ancora alle scene ai macchinisti, progettisti, carpentieri, elettricisti.
Una macchina perpetua che si muove dal 10 agosto 1913, ossia da quando un cantante e un impresario, con estrema fede l’hanno messa in moto.
L’arena è un meccanismo dagli innumerevoli ingranaggi: dalla ragazzina che gira tra le persone con programmi e libretto, che con voce simpatica urla: “Libretto dell’opera, programma in italiano, english, deutsch”, alle hostess che gentilmente danno il loro supporto agli spettatori. Dai tecnici che lavorano ancora alle scene ai macchinisti, progettisti, carpentieri, elettricisti.
Una macchina perpetua che si muove dal 10 agosto 1913, ossia da quando un cantante e un impresario, con estrema fede l’hanno messa in moto.
Alle nove le luci si spengono, il pubblico delle gradinate accende le tradizionali candeline. I riflettori accompagnano il Maestro che si reca al podio, preceduto dallo Stewart, un bel ragazzo dal portamento elegante.
Fra applausi, un bravo o brava urlato da qualcuno, qualche richiesta di bis, lo spettacolo finisce. L’arena si svuota e alla fine le luci si spengono, per riaccendersi l’indomani. Come la speranza degli enigmi di Turandot pronta a rinascere.Una rappresentazione che ha conferito all’opera la giusta dimensione voluta da Puccini. Ha destato non poche emozioni.
Una splendida Turandot, nell’interpretazione di Giovanna Casolla, che ha saputo ben sottolineare nell’aria ‘in questa reggia’, tutta la crudeltà, ma anche la sofferenza della crudele principessa.
Liù è stata interpretata da Amarilli Nizza, che ha delineato con garbo tutta la tenerezza, ma allo stesso tempo, la forza del personaggio.
Meritata è stata la richiesta di bis al tenore Carlo Ventre di ‘Nessun dorma’.
Il suo All’alba vincerò, ha toccato lo spettatore.
Fra applausi, un bravo o brava urlato da qualcuno, qualche richiesta di bis, lo spettacolo finisce. L’arena si svuota e alla fine le luci si spengono, per riaccendersi l’indomani. Come la speranza degli enigmi di Turandot pronta a rinascere.Una rappresentazione che ha conferito all’opera la giusta dimensione voluta da Puccini. Ha destato non poche emozioni.
Una splendida Turandot, nell’interpretazione di Giovanna Casolla, che ha saputo ben sottolineare nell’aria ‘in questa reggia’, tutta la crudeltà, ma anche la sofferenza della crudele principessa.
Liù è stata interpretata da Amarilli Nizza, che ha delineato con garbo tutta la tenerezza, ma allo stesso tempo, la forza del personaggio.
Meritata è stata la richiesta di bis al tenore Carlo Ventre di ‘Nessun dorma’.
Il suo All’alba vincerò, ha toccato lo spettatore.
Simpatici i tre ministri Ping, Pong e Pang, interpretati rispettivamente da
Leonardo López Linares, Paolo Antognetti, Saverio Fiore.
Sebbene il ruolo di Timur è da comprimario, Mario Vinco ha saputo offrire la giusta dignità e colore al personaggio. Molto incisiva la sua interpretazione del suo dolore per la morte di Liù.
Bravo è stato anche Nicolò Cerini nell’interpretare il mandarino, e Carlo Bosi nell’interpretare l’Imperatore Altoum.
Gli interpreti e personaggi sopra descritti hanno lavorato in maniera coesa completandosi l’un con l’altro, come ad esempio Liù e Timur che riescono insieme a mettere ben in evidenza quel legame di affetto che entrambi sentono reciprocamente. Come pure ben affiatati sono stati i tre ministri.
L’orchestra è stata diretta dal giovane maestro Andrea Battistoni, che ha lavorato bene, seppure con un uso troppo marcato dei gong cinesi, che se non usati nel giusto equilibrio riescono a turbare quel raffinato esotismo che Puccini ha saputo ben dare.
La regia è la solita, magistrale di Franco Zeffirelli. Bellissimi i colori e molto armoniosi i movimenti di massa. Un lavoro da vero cesellatore anche nelle movenze e atteggiamenti dei singoli personaggi. I costumi di Emi Wada e i movimenti coreografici di Maria Grazia Garofoli hanno completato il successo della serata insieme al coro diretto da Armando Tasso.
Leonardo López Linares, Paolo Antognetti, Saverio Fiore.
Sebbene il ruolo di Timur è da comprimario, Mario Vinco ha saputo offrire la giusta dignità e colore al personaggio. Molto incisiva la sua interpretazione del suo dolore per la morte di Liù.
Bravo è stato anche Nicolò Cerini nell’interpretare il mandarino, e Carlo Bosi nell’interpretare l’Imperatore Altoum.
Gli interpreti e personaggi sopra descritti hanno lavorato in maniera coesa completandosi l’un con l’altro, come ad esempio Liù e Timur che riescono insieme a mettere ben in evidenza quel legame di affetto che entrambi sentono reciprocamente. Come pure ben affiatati sono stati i tre ministri.
L’orchestra è stata diretta dal giovane maestro Andrea Battistoni, che ha lavorato bene, seppure con un uso troppo marcato dei gong cinesi, che se non usati nel giusto equilibrio riescono a turbare quel raffinato esotismo che Puccini ha saputo ben dare.
La regia è la solita, magistrale di Franco Zeffirelli. Bellissimi i colori e molto armoniosi i movimenti di massa. Un lavoro da vero cesellatore anche nelle movenze e atteggiamenti dei singoli personaggi. I costumi di Emi Wada e i movimenti coreografici di Maria Grazia Garofoli hanno completato il successo della serata insieme al coro diretto da Armando Tasso.
Alessandro Scardaci
Illustrazione: Turandot atto II 18 06 C foto Ennevi 186TUR (1085)
per gentile concessione della Fondazione Arena di Verona.