Un poeta, un grande poeta possiamo dire subito.
Ora, però, con questo libro di racconti accomuna alla soavità del suo immaginismo poetico di vago sapore ermetico, un amare raccontare, rievocare, restituire una palpabilità persino realistica al “fascino della memoria” della sua memoria che è, poi, il rimembrare la sua infanzia e la prima giovinezza in quel di Racalmuto, terra aspra e crudele, patetica dimessa ed, a volte, impietosa.
La Racalmuto contadina dunque, la Racalmuto senza Sciascia, oltre Sciascia e, soggiungiamo noi a nostro rischio e pericolo, che Racalmuto non è solo Sciascia, c’è anche, ed ha un nome e cognome: Calogero Restivo, poeta, narratore e scrittore di Racalmuto.
Lo dimostra una sua gogoliana pagina in una novella capolavoro, un inno alla semplicità al paratattico ordire di un racconto lieve e toccante “La camicia Nera” semplice e Dio sa quanto è complessa la semplicità.
Una tragedia, la tragedia di un piccolo uomo senza la camicia nera in tempi di cupo vestire, eternamente in lutto, che inopinata-mente perde il lavoro per avere disobbedito alla estemporanea bizzarria del potere, di una ben specifica Era.
E ciò in un piccolo, per noi noto ed amato paese: Racalmuto.
Applaudita la bella grafia del Restivo, ammirato il musicalissimo tono del racconto.
Noi pensiamo a quei tempi, a quel nostro paesino digradante tra i calanchi dell’altipiano sicano, ai gerarchetti tronfi e panciuti, che di nostro rammentiamo, al “giummo” aborrito da Leonardo Sciascia, alla Racalmuto fascistissima fino al midollo, come allora si soleva dire, la Racalmuto, aggiungiamo noi, che per eccesso di servilismo si perdeva dietro banalità che niente avevano a che fare con la politica e con la gestione del potere o gli interessi della povera gente.
Date le nostre manie, scopriamo nelle fluenti musicali pagine del Restivo, mirabili pagine di storia, di veridica microstoria locale della nostra Racalmuto, insomma, anche qui, paradigmatica senza Scia-scia, oltre Sciascia. (La camicia Nera).
Diciamo pure che “Le lumache al sugo” buone da far fortuna, finché forse troppo grosse, forse quindi cimiteriali, prima la creano la fortuna e poi la determinano la rovina.
Tutto in un piccolo centro, negli albori della novella democrazia, nel nostro fragile borgo natio, a Racalmuto quello senza fronzoli letterari, senza sublimazioni parrocchiali.
Ci piace tanto questa Racalmuto fragile, nevrotica, dimessa, maniaca, suggestiva, normale che pennella un grande dalla penna castigata, colta, limata, scorrevole, narrante, di questo grande racal-mutese, di questo maestro del saper narrare, Calogero Restivo.
Diciamo subito che Calogero Restivo è un uomo di scuola, anche se è passato attraverso varie esperienze commerciali ed imprendi-toriali per approdare, nel catanese, emigrante volontario fin dall’età di quattordici anni, comunque non inquinato da quella falsa cultura, arrogante, saccente, ripetitiva, insulsa racalmutese che oggi tanto ci angustia, ci indispettisce, ci annoia, ci frastorna. Una cultura, quella epigonale secreta da figlioline selvatiche del malinconico maschilista albero nocino. A questa cultura si contrappone questo autentico figlio della trepida civiltà contadina racalmutese che è il professore Calogero Restivo, approdato nella terra di Verga, sicilianissimo dunque senza germaniche intromissioni pirandelliane o toscanismi rondisti, lasciando da parte gli ipotattici inquinamenti dei locali della terra della ragione che svolazzano nel nulla credendosi persino poeti sommi o narratori di avanguardia.
Adamantino, melanconico, virilmente romantico Calogero Restivo ha stile, musicalità, ispirazione, fattività di sapido narratore da ammaliante revocatore di tempi, di modi, di uomini e di miserie e gioie di un piccolo non dimenticato mondo antico.
Ci avvince senza violentarci, ci trasporta lieve, melodicamente nei nostri ancestrali meandri della memoria, forse quella preistorica, non ancora inquinata da questo nuovo mondo millenario che ci ripresenta morti valori del millennio scorso rifiutati dall’incipiente nuovo e brancolante nel nulla creativo sulle macerie del tutto antico, tutto rinnegato.
Calogero Restivo forse è un conservatore, non rinnega quanto dal passato donnette cerebrali dichiarano magari retrogrado. Vi è la vivifica malinconia del ricordo che trasla l’antico nel nuovo con una continuità che sa di miracolo.
La Racalmuto di oggi, turbolenta, occidua, dall’avvenire sterilito, dall’orizzonte fugato, dalle miniere chiuse, dalle guerre neglette, dalle case collabenti, dalle dicerie frastornanti, dalle letterature intri-stite, dal premio Grassonelli, dalle cinematografie esauste ha una sua voce narrante solo in questo esule dal nome e cognome priscamente indigeno: Calogero Restivo.
Apprezziamolo, riscopriamolo e ringraziamolo.
Calogero Restivo, insegnante in pensione. Giovanissimo ha iniziato a scrivere poesie ma ha dovuto interrompere ogni esperienza letteraria per lunghissimo tempo.
Negli ultimi tempi iniziato a pubblicare le raccolte delle poesie giovanili, seguite dalla nuova produzione.
Ha ottenuto numerosi riconoscimenti.
Sue poesie figurano in molte antologie, tra cui quella del premio internazionale di poesia e narrativa Fortunato Pasqualino.