Don Antonio Corsaro prete scomodo o prete di Dio

Posted by on Apr 29th, 2015 and filed under Cultura. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Antonio Corsaro, battezzato con il nome di Antonino, nasce a Camporotondo Etneo in provincia di Catania il 5 novembre del 1909. Una parte del territorio di questo piccolo paese nel corso dei secoli è stato sepolto dalle colate laviche dell’Etna.

La mano sapiente della civiltà contadina ha strappato parte di queste “sciare” laviche, coltivandole a frutteto ma sopratutto a fichidindia, vigneto, uliveto, traendone marmellata e mostarda, ottimo vino ed olio. Le colate laviche hanno formato dei monumenti naturali, ve ne uno grandioso con un altezza di circa 15 metri ed un basamento con una circonferenza di circa 20 metri assomigliante al monumento di un antico guerriero con elmo, un altro molto più piccolo assomigliante ad un cane accovacciato. Sotto la guida dello scultore arcaico della pietra lavica Salvatore Finocchiaro di questì monumenti naturali abbiamo avuto modo di scoprirne  tanti. Vi sono diverse cave dove si estrae (l’oro nero dell’Etna) sciara nera “afficilata”, esportata in tutto il mondo, molto compatta, che viene usata al posto del marmo, in quanto molto più resistente, e ben lavorata diventa lucida, e ceramizzandola ne vengono fuori dei lavori, di altissimo pregio pittorico con colori vivaci.Antonio Corsaro muore a Catania il 18 agosto del 1995. Il padre Ludovico, muore tragicamente a Buenos Aires, dopo pochi mesi che vi è arrivato per cercare fortuna insieme con la sposa diciottenne Grazia Longo e il figlio Antonio di 14 mesi, e che si era impiegato come controllore in una società tranviaria. Muore schiacciato dalla carrozza di un tram.

Antonio e la giovanissima madre tornano a Camporotondo Etneo in casa del nonno Gaetano, falegname. La madre per vivere fa la sartina, insieme a cinque sorelle. Dopo 15 anni di vedovanza si risposa col fratello del marito, Angelo, e avrà due tigli, Giuseppina e Ludovico, che si trasferirono a Roma, l’una laureata in farmacia l’altro in ingegneria elettrotecnica. A lei Corsaro dedicherà la raccoltina di liriche: La Vergine, con questa epigrafe: “A mia madre viva e dolente”.

La sua carriera non fu facile Corsaro per la chiesa cattolica fu un irregolare. Passava per un prete rivoluzionario di sinistra, ed anche comunista. Tutte definizioni che non rispettano la verità, forse perché il prete stava con gli umili, con i poveri, ma anche con artisti e letterati. Entra nel seminario arcivescovile di Catania, dove il 20 ottobre del  1933 è ordinato sacerdote.

Nel 1938 si laurea alla Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con il massimo dei voti e la lode in lettere e filosofia, con una tesi su Storia dell’umanesimo in Sicilia nei secoli XII – XIII relatore Luigi Sorrento. A Milano con Carlo Bo, Vittorio Sereni, Mario Luzi Oreste Macrì, ed altri faceva parte dell’Ermetismo, di cui era il teorico. Loda la poesia di Montale e di Ungaretti, in questi anni al centro di tutte le polemiche letterarie. Corsaro s’incontra e scontra con Quasimodo che sostiene di essere il fondatore dell’Ermetismo.

A Milano, con Alfonso Gatto, che preparava Morto ai paesi, instaura un’amicizia che durerà per più di quarant’anni, fino alla tragica morte dell’amato poeta. Gli altri suoi poeti preferiti sono Saba, Cardarelli, Rebora, Luzi, Campana; i critici: Alfredo Gargiulo, Emilio Cecchi, Giuseppe De Robertis. L’estetica di Croce e dei crociani gli è estranea. Legge con compiacenza una banale stroncatura che ne fa il mistico Guido Manacorda, autore di testi contemplativi e traduttore del Faust di Goethe. La linea della poesia, cui sente di aderire è quella che va dagli stilnovisti agli ermetici, linea platonica e leopardiana.

Studia Eliot e tenta di tradurlo, Mallarmé, che tradurrà più avanti integralmente. Predilige Pascal, legge sistematicamente Pirandello e alla Fiera del Libro, dove lo trova, in un afosissimo pomeriggio milanese, solo e rincantucciato all’ombra come una cosa dimenticata.

Durante l’estate del ‘36 e del ‘37 frequenta i corsi universitari di Debrecen, visita Budapest e tutta l’Ungheria, invitato dal prof. Oscar Màrffy, docente di lingua e letteratura ungherese nell’Università Cattolica di Milano, che gli affida la traduzione di Szobolcska, di Janos Garay e di Ady Endre per l’antologia: Palpiti del cuore magiaro nella sua letteratura.

In Ungheria resta colpito dai cordiali rapporti tra cattolici, ortodossi ed ebrei. Identica impressione riceve quando si reca in Cecoslovacchia; celebra messa in una  chiesa di Praga, dove preti cattolici e pastori hussiti praticano il rito eucaristico su altari contrapposti nello stesso tempio.

A Praga rimane preso dalla “presenza” di Kafka e di Vladimir Holan. Visita Vienna e la Polonia. Antifascista, non crede nell’impero mussoliniano si rifiuta di andare in Africa, come cappellano militare, alla conquista dell’Etiopia. Segue invece con accorata partecipazione la guerra civile spagnola. Ne discute anche con due preti esuli a Milano. Lo amareggia quel che accade sotto il franchismo.

Nel 1959 assieme a Sebastiano Adamo, Vito Librando, Manlio Sgalambro, Fiore Torrisi, fonda la rivista “Incidenza”, che fa scandalo negli ambienti ecclesiastici per il suo programma inteso ad instaurare un dialogo tra cattolici e marxisti. Vi pubblica una vecchia dedica di Bernanos contro i cardinali e i generali francesi, articoli sui principali difetti degli intellettuali cattolici italiani, in corrispondenza con quelli della rivista “Leggere” diretta da Gino Montesanto. Ma sono alcune pagine di un suo “diario di un prete”, in cui è attaccata la formazione vocazionale a indisporre l’arcivescovo di Catania Guido Luigi Bentivoglio, che gli intima di sciogliere la redazione “atea” e non pubblicare più la rivista, sospendendolo dall’insegnamento in seminario. Tanti furono i luoghi dove insegno Antonio Corsaro, tra i quali, al pio Istituto San Benedetto di Catania, alla Università di Palermo, al Magistero di Perugia. Con Gianni Salvo fondò “Il piccolo Teatro di Catania”.

Molte sono le opere scritte dall’uomo-prete, tante le collaborazioni con riviste e giornali. Tante furono i riconoscimenti alla sua persona, non da parte della chiesa cattolica che fu sempre ostacolato. Nel 1987 su commissione del sindaco Francesco Bellia, per conto dell’amministrazione comunale scrive il libro “Camporotondo Etneo “, storia costume immagine. Aggiungendovi due suo pensieri  il primo dice “Ai miei genitori la cui memoria è viva in questa mia storia”.  Il secondo per il suo paese natale “E’ una tonda melagrana che ha sassi per chicchi e per scorza la lava: Camporotondo si chiama.

Michele Milazzo


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