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Non voleva che suo figlio ormai diciottenne venisse chiamato a morire in battaglia, non si può sfidare la fortuna due volte. Non pensava di farlo disertare, quello no, nel suo codice morale quella era una viltà, andare si doveva andare ma non nelle pericolose trincee, lontano da lì, lontano. L’uomo prudente che debba scegliere tra due alternative negative preferirà il male che non conosce piuttosto del male che già conosce, illudendosi di essere stato parimenti prudente che nello scegliere il bene certo piuttosto che l’incerto.
Si era preparato a quel momento, era pronto da quando lo aveva sollevato la prima volta dal letto dov’era appena nato. Si era detto dentro di sé: «tu non morirai in trincea».
Leggende familiari che si tramandano fino a diventare fonte d’ispirazione per un racconto.
La memoria, i ricordi, che ruolo occupano nella nostra vita?
«Sono un punto di riferimento per valutare correttamente gli eventi che ogni giorni occupano i nostri pensieri. La memoria è un metro per misurare l’oggi con gli occhi di una sequenza di persone che si è succeduta nel tempo. I ricordi sono come una mano tesa che ci afferra quando siamo a terra, bloccati dalla paura, dalle inquietudini e dalle preoccupazioni. Sono una bussola che ci indica la rotta quando la bufera imperversa e non si vede la direzione».
Che legame ha con la Storia?
«I racconti familiari sono qualcosa di più intimo e circoscritto, hanno per sfondo la Storia, fanno parte della Storia ma non hanno una pagina dedicata, se non per coloro che ereditano la responsabilità di tramandare eventi che per la loro drammaticità hanno qualcosa da insegnare a tutti. Invero siamo più propensi a fare riferimento agli eventi familiari piuttosto che a quelli relativi ad altri luoghi, ad altre persone. E’ un problema di coinvolgimento emotivo».
Durante questi anni di lotte, cambiamenti ed emancipazione, quali aspetti avremmo dovuto trattenere, difendere e mantenere saldi?
«La solidarietà, la comprensione per le sofferenze altrui e la fiducia incrollabile in un futuro migliore. Si è perso di visto il senso di collettività umana e la finestra verso l’esterno è spesso divenuta unicamente lo schermo insensibile di un televisore. I tempi cambiano, c’è più libertà, più possibilità di conoscere e di viaggiare ma abbiamo sempre un debito verso il passato, verso coloro che hanno iniziato il percorso prima di noi. Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti».
Katya Maugeri
Fonte della notiziawww.siciliajournal.it