Parlare a Catania di Vincenzo Bellini potrebbe sembrare un luogo comune dal momento che parecchi monumenti sono a lui dedicati (Museo, Teatro, Giardino, Monumento di Piazza Stesicoro), ultimamente perfino l’aeroporto di Fontanarossa. Egli suscita l’ammirazione dei suoi compaesani non solo per la bellezza della sua musica ma anche e soprattutto perché ha incarnato il simbolo dell’emigrante sì ma di lusso, di colui che va via dalla sua città per realizzare i suoi sogni ed immancabilmente ci riesce.
Nel cuore della vecchia Catania, in piazza San Francesco d’Assisi, in un appartamento del palazzo Gravina Cruyllas, il 3 novembre del 1801 nacque Vincenzo Bellini, uno dei più grandi operisti dell’800.
La dinastia dei Bellini musicisti etnei ebbe il suo avvio da Vincenzo Tobia Bellini, giovane compositore abruzzese nato a Torricella Peligna, provincia di Chieti, l’11 maggio del 1744. Costui, giunse nella capitale partenopea il 13 ottobre 1755 (aveva più o meno 10/11 anni) dove fu ammesso al Conservatorio di Sant’Onofrio a Capuana, con l’obbligo di servire per 10 anni. Dopo avere studiato con Carlo contumaci, Giuseppe Dol e Nicolò Porpora. Dopo essere diventato Mastricello (i mastricelli erano specie di istitutori) nel 1765 di diplomò in composizione con l’oratorio Isacco figura del Redentore su versi di Pietro Metastasio.
Vincenzo Tobia Bellini approda a Catania intorno al 1767/68, secondo alcuni storici per mettere in scena quei “Dialoghi” o meglio quegli “Oratori” che venivano eseguiti in occasione di ricorrenze e feste religiose; per altri storici in qualità di “Direttore d’orchestra” d’una piccola compagnia di musicisti girovaghi; per altri ancora, come sostiene il prof. Giuseppe Giarrizzo, perché ingaggiato da Napoli come maestro di Cappella dal principe di Biscari Ignazio Paternò Castello (Catania 1719 – ivi 1786) fulgida figura di mecenate, scrittore e insigne archeologo. L’abruzzese di fatto si muoverà nell’orbita dei Biscari, come il coevo catanese Domenico Tempio, orbita alla quale non fu estranea una certa visione culturale di tipo massonico. E forse proprio perché fratello massone Vincenzo Tobia ebbe tale importante chiamata. Nel 1769 il musicsta contrae matrimonio con Michela Burzì e da questa unione nacquero 5 figli. Il primo di costoro, Rosario, nacque nel 1778 a fu battezzato nella chiesa di San Biagio “a carcaredda”. Da Rosario e Agata Ferito, andati a nozze il 17 gennaio 1801, nascerà il 3 novembre 1801 Vincenzo, Salvatore, Carmelo, Francesco Bellini.
La breve vita di Bellini può senz’altro venire suddivisa in 4 periodi principali:
Il periodo catanese (dalla nascita al maggio 1819)
Il periodo napoletano (dal 1819 al 1826)
Il periodo milanese (dal 1827 al 1832)
Il periodo londinese-parigino (dal 1833 alla morte avvenuta il 23 settembre 1835)
Il secondo è il periodo degli studi presso il Collegio di Musica San Sebastiano di Napoli. A fornire una specie di borsa di studio al giovane Bellini sarà una delibera del Decurionato Catanese su sollecitazione del palermitano Stefano Notarbartolo, Duca di Sammartino e Montalo, il quale successivamente alla nomina di Intendente del Vallo di Catania che si era stabilito a Catania nei primi del 1818 assieme alla moglie Eleonora Statela dei principi del Cassaro. Il periodo di studi verrà concluso con la composizione e la messa in scena presso il teatrino del Conservatorio dell’opera semiseria Adelson e Salvini nel 1825 che ne rappresenta il saggio conclusivo. Il 30 maggio 1826 al teatro San Carlo di Napoli, viene rappresentata Bianca e Gernando non Fernando, come nel libretto originale, per rispetto a Ferdinando di Borbone, principe ereditario. Quest’ultima affermazione artistica di Bellini gli aprirà le porte della Scala, infatti l’impresario Barbaja, presente ad una replica dell’opera, offrì al musicista una scrittura presso La Scala di Milano per la stagione autunnale 1827.
Bellini giunse a Milano il 12 aprile 1827. Nella città meneghina verrà messo in contatto d a Saverio Mercadante con uno dei maggiori librettisti del tempo: Felice Romani che gli fornirà il testo de “Il Pirata” le cui note la sera del 27 ottobre 1827 conquisteranno Milano (l’opera venne replicata alla Scala per 15 sere).
Nel 1828 su reca a Genova per l’inaugurazione del Teatro Carlo Felice, al fine di fare rappresentare una nuova edizione di Bianca e Gernando e qui conobbe Giuditta Turina Cantù, con la quale allacciò una relazione durata ben 5 anni. Il 14 febbraio 1829 fu rappresentata sempre alla Scala “La Straniera” accolta con immenso entusiasmo. La caduta della “Zaira” nel maggio 1829 a Parma fu riscattata dal successo dei “Capuleti e Montecchi” avvenuta alla Fenice di Venezia (debutto 11 marzo 1830).
Nell’estate del 1830 lavorò prima all’Hernani su libretto tratto da Romani dall’omonima opera di Victor Hugo, ma poi per paura della censura l’abbandono per dedicarsi alla SONNAMBULA che riscosse al Teatro Carcano un trionfale successo (prima 6 marzo 1831).
Dello stesso anno sarà NORMA, considerato il supremo capolavoro belliniano e una delle opere più glorificate di tutta la storia del melodramma. Alla sua prima rappresentazione, avvenuta il 26 dicembre 1831, “Norma” fu contestata più però ad opera di una claque prezzolata al servizio della contessa Giulia Somoyloff, amante di Giovanni Pacini. Ma già dalla seconda e terza sera registrò sempre maggiori consensi fino al successo imperituro. Gaetano Donizetti grande compositore e uomo onesto oltre ogni dire affermò: «La Norma iersera andata in scena alla Scala non fu compresa ed intespettivamente giudicata dai milanesi. Per me sarei contentissimo di averla composta e metterei volentieri il mio nome sotto quella musica».
Dopo un trionfale viaggio in Sicilia nel 1832, nel quale viene festeggiato in modo formidabile, riparte per l’Italia del Nord e accetta l’incarico di scrivere per il Teatro La Fenice di Venezia l’opera “BEATRICE di Tenda” che venne rappresentata nella città lagunare il 16 marzo 1833, accolta dal pubblico molto freddamente. Dopo l’insuccesso dell’opera nacque un dissidio fra Bellini e Romani, quest’ultimo attribuì l’esito dell’opera alle frequentazioni femminili del musicista che l’avrebbero distolto “dal sentiero dell’arte”. Ne nacque uno scandalo e si consumò un’insanabile frattura fra i due artisti. Bellini si trasse d’impaccio recandosi a LONDRA per dirigervi Sonnambula e Norma e qui conobbe Maria Malibran che interpretava la prima in lingua inglese. In seguito Bellini si trasferì a PARIGI, ove frequentò i salotti intellettuali ed i circoli aristocratici e conobbe Cristina di Belgioso, Hugo, Dumas Padre, Chopin. Liszt, De Musset, Heine.
Per il teatro degli Italiani, al tempo diretto da Gioacchino Rossini, compose “I PURITANI” che, andrà in scena il 24 febbraio 1835 con un successo strepitoso, tale che re Luigi Filippo premiò il musicista con la più alta onorificenza francese: La croce di cavaliere dell’Ordine della Legion D’Onore. Purtroppo però il musicista non potè godere a lungo del suo trionfo, poiché la sua salute già cagionevole peggiorò ed il 23 settembre 1835 morì in circostanze poco chiare nella villa di Puteaux, sobborgo parigino preso in affitto dai coniugi Lewis suoi amici e dove soleva stabilirsi per comporre in pace e serenità. Corse voce di morte per veleno ma il re di Francia ordinò l’autopsia, che dimostrò infondati i sospetti e mise invece in evidenza una grave sofferenza intestinale.
Giovanni Pasqualino