Cose che accadono. Continuamente. Nel buio complice. Nel silenzio inerte di madri imperfette.
L’incesto, le molestie, lo zio affettuoso, il vicino di casa generoso. Persone conosciute che rivelano inaspettate facce da orchi, che si tramutano improvvisamente in esseri mostruosi.
C’era una volta una bambina che si chiamava Maria. Era una brava bambina. Una principessina che trascorreva i suoi giorni a giocare da sola ed era felice. All’età di tre anni il silenzio diventò la sua casa e nessuno si chiese mai perché.
La piccola Maria, protagonista della storia, decide di tagliare i lunghi capelli per imbruttirsi, per non essere più oggetto di desiderio, come se il delitto venisse provocato dalla vittima stessa, per il solo fatto di esistere.
Quale bambino non finisce per credere che chiunque gli darà la colpa?
Intanto crescevo con la consapevolezza di essere una bambina che aveva l’anima sporca e la certezza che dal mondo degli adulti non sarebbe arrivato mai un riparo dalle insidie della vita. Sapevo che ero sola, e da sola dovevo prepararmi ad affrontare difficoltà, ostacoli, umiliazioni.
Il senso di colpa viene alimentato dalla connivenza che il persecutore pretende dalla vittima: sarà il nostro piccolo segreto!
È più facile fingere che niente stia accadendo sotto i propri occhi, negare una realtà troppo pesante da accettare, cogliendo i segnali di disagio, e per questo a volte chi sa o sospetta rimane in silenzio per evitare lo scandalo.
Si potrebbe pensare che queste storie avvengano più facilmente nel degrado, come in questo caso, ma che dire dell’apparente perfezione che cela verità insospettabili?
Non deve essere stato facile per la protagonista rimestare nel fondo, affrontare gli spettri seppelliti e rimossi, incontrare daccapo quella bambina spaventata. E di sicuro lo stesso coraggio, la stessa forza avranno sorretto l’Autrice nella complessa operazione di trasformare in poesia il male assoluto.
La violenza e la prevaricazione accompagneranno infatti la protagonista per buona parte dell’esistenza, forse perché ciò che accade nei primi anni finisce per segnare inevitabilmente un percorso, orientando i comportamenti, alimentando la paura.
Si rimuove l’orrore per sopravvivere, ma non si cancella. La mente lo occulta soltanto momentaneamente, ma il trauma c’è stato, c’è, e resterà e tornerà a condizionare le tue scelte e il tuo futuro, fino a quando una voce pietosa con amore ti guiderà nell’orrore a rivederlo, elaborarlo e forse superarlo. Ma questo allora non lo sapevo. Si può lavare la macchia, e forse dopo non si vedrà; ma chi è stata sporcata sa bene che non potrà ripulirsi mai da quel sudiciume.
Non ci si libera facilmente dall’oppressione di un’infanzia violata:
Vivevo felice in uno spicchio di paradiso…crescevo nell’innocenza di una bimba che raccoglieva le more lungo i muretti pieni di rovi, tra i viottoli di campagna
ma chi dovrebbe vegliare sull’infanzia di una bimba distoglie gli occhi e l’innocenza è una margherita uccisa per sempre.
Quale sbigottimento deve offuscare i pensieri di una ragazzina quando si rende conto di non essere amata dalla propria madre?
Forse quando ero nata aveva sperato che morissi poiché per lei ero un peso o forse ero il frutto di un amore che odiava. per colpa mia si era dovuta sposare con un uomo che non amava: La verità in ogni caso è che lei non mi ha mai trattata come una figlia, da lei ho ricevuto sempre odio.
E appunto l’odio percorre inesorabile tutto il libro:
Odiavo mia madre, odiavo Giacomo, odiavo la vita e volevo morire.
Il senso di colpa, la sensazione di non valere più nulla, ma forse soprattutto l’assenza di una persona fidata a cui potersi rivolgere possono far balenare il desiderio di farla finita:
Decisi di morire, ma non sapevo come.
La morte sembra l’unica soluzione, l’unica salvezza, di sicuro la sola maniera per sfuggire alla persecuzione. Fortunatamente il progetto di morte si ribalta in progetto di vita, di rinascita quando la protagonista decide di riconquistare il figlio che le è stato sottratto e che diventa la vera ragione per lottare ancora.
Allo stesso modo, con tutto l’amore di cui è ancora capace, e che le è stato sempre negato, quando la madre-aguzzino diventa una persona debole e bisognosa, Maria se ne prende carico:
Se la lasciassi sola, farebbe una brutta fine, così cerco di proteggerla, adesso che non si può difendere. Ho ancora dentro tanta rabbia, tanto dolore da guarire ma anche tanto amore da dare e so che l’unica strada possibile è quella dell’amore.
Qui più che mai, la scrittura assume valenza terapeutica: mettere nero su bianco allontana da sé il dolore, lo rende visibile e perciò più facile da attraversare. Progredire dall’odio al perdono è un’operazione complessa e faticosa, ma poi si può approdare alla catarsi, al riscatto, alla pace.
Come ci racconta l’Autrice stessa, impegnata da sempre nel sociale e ora in questa nuova battaglia:
È la storia vera di una donna che ha subito violenza nella prima infanzia, e che ha vissuto per questo nella sofferenza. La protagonista ha voluto raccontare la sua storia al figlio sottrattole in tenera età. Io ho voluto rendere pubblica questa storia perché sia un’opportunità di denuncia. Il libro nasce all’interno della campagna di solidarietà sociale contro il turismo sessuale sostenuta dall’Associazione Demetra Onlus e dall’Associazione Akkuaria.
Rimandiamo gli orchi e le streghe alle loro fiabe dunque, denunciando, anche solo parlandone. Leggere questo libro è il primo passo.
Gabriella Rossitto