Agonia della pittura o sovversione?

Posted by on Aug 2nd, 2012 and filed under Cultura. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Negli anni ’80, appena entrata in Accademia subii gli attacchi silenziosi dei docenti che non calcolavano coloro che erano propensi alla figurazione e ad un uso normale degli attrezzi utilizzati in pittura. A me importava relativamente, anzi ero lusingata di essere in un’Accademia di Belle Arti.

Nel giro di qualche anno, capii che dipingere e interessarmi alla figura era considerato arcaico ma nell’aria si annusava un nuovo profumo, si discuteva di un moderno Romanticismo, di un ritorno alla figurazione, un nuovo “ritorno all’ordine”. Mentre si discuteva il “genere di pittura” veniva emarginato o ghettizzato. A parlare di pittura con i più importanti curatori ed esperti del settore, si corre il rischio di apparire anacronistici ed inopportuni. Eppure, tra le pieghe del mercato alto o basso, la pittura ancora persiste e in alcuni casi impazza, batte i suoi propri record per stabilirne sempre di nuovi. Anche i grandi collezionisti di tendenza si circondano di pittura? La frase attribuita a Duchamp spesso riecheggia: Stupido come un pittore. Forse veramente possiamo parlare di “Pittura come lngua” trastato, dire che la pittura non è mai nata è un paradosso! Eppure, è proprio così. Proviamo a considerare l’idea di Benedetto Croce che un secolo fa diceva che l’opera d’arte, sta tutta nella testa dell’artista che la pensa. Poi, il fatto che prenda in mano il pennello per stendere i colori, è del tutto secondario. Sembra un pensiero strampalato, ma ha un significato profondo: Croce voleva dire che la pittura non è una forma d’arte a sé stante, ma solo il metodo migliore che per secoli l’uomo ha inventato per esprimere quel che nella mente si era già rappresentato alla perfezione. La rappresentazione mentale da cui nasce è superiore alla sua realizzazione; ecco perché non si smette mai di dipingere. Il grande pittore è uno che dipinge per disperazione, sperando di tradurre automaticamente su tela quello che lui ha già in testa. I famosi media che avrebbero superato la pittura, cioè la fotografia, il cinema, la televisione, il video… non rappresentano essi stessi un tentativo non tanto di distruggere la pittura, quanto di perfezionarla, di ridurre lo scarto tra idea mentale e realtà visuale? L’uso di prodotti industriali come il colore in tubetto, ai tempi degli impressionisti, e, oggi, l’impiego di software grafici, non sono altrettanti tentativi di andare verso la realizzazione di una macchina della pittura? E se andassimo semplicemente a ricercare l’umano ritornando bambini? Il dilemma è aperto alla nostra coscienza e la questione della pittura diventa pericolosa perché evoca tutti gli spettri che si aggirano nella psicologia degli umani liberi, saggi, indifferenti al mercato e al successo economico, quegli umani che dipingono per “bisogno naturale”, con “semplicità inconscia” per “soli fini artistici”, anime che coltivano l’avversione dei giusti contro una società che non vuole più sognare la libertà, stritolata dall’odio verso i valori eterni dell’arte.

Il problema è semmai di identificazione e non di identità. Sappiamo che esiste, che nutre grandi numeri di praticanti, ma puntualmente scompare dalle grandi mostre. Gli addetti ai lavori troppo spesso lavorano con uno zoom laddove ci vorrebbe un grandangolo. Il fatto è che la pittura è diventata una faccenda complessa che si nutre degli stessi paradossi o luoghi comuni che le vengono affibbiati. Ciò richiede un pubblico colto, capace di cogliere questi particolari, perché la pittura non è semplice e non ci si deve limitare a guardare le figure, come se si trattasse di pubblicità. La pittura è l’unica o una delle poche forme d’arte che non potranno mai morire, sino a quando morirà l’uomo. Il motivo è molto semplice, perché è un tipo d’arte che non ti puoi immaginare, ma devi vederla realizzata. Finché non vediamo l’opera finita non sapremo mai se è riuscita o meno, al contrario di un’installazione o di un ready made, dei quali si può dire in anticipo, se funziona o meno.

Il discorso sulla morte della pittura ha successo all’interno del sistema dell’arte almeno quanto il ragionamento, altrettanto ciclico ed utilitaristico, sulla morte di tutta l’arte contemporanea. Personalmente non vedo nell’estrema popolarità di mercato che ha la pittura, un necessario segno della sua qualità, anzi spesso le due cose si contraddicono. Ma credo che l’errore, quando si parla di pittura, sia di parlarne ancora secondo il vocabolario dell’Avanguardia, mentre questo è contraddetto dalla pratica stessa degli artisti, che non ragionano più in questi termini e che non usano più la pittura, ma nemmeno il video o la fotografia né la scultura, in una prospettiva “specifica” ma libera di esprimersi in propri linguaggi che introducono uno stile proprio. La pratica artistica supera la critica. Io amo profondamente la pittura, mentre il nuovo pubblico dell’arte vi si consola… è questa la differenza. Avete mai interrogato gli artisti sulla questione? Gli artisti non si chiedono se la pittura sia viva o morta. Ad essere finita è la definizione dell’arte per linguaggi, l’opposizione della pittura ad altri media. La pittura è un’opportunità, una delle tante, praticabile accanto alle altre e non necessariamente una possibilità: si dipinge e parallelamente si fanno installazioni, video, performance, senza vedere in questo alcuna contraddizione. L’arte oggi mi sembra più che mai contraria ad una corsia preferenziale ed unificante. La stessa pittura sfugge alle definizioni, è scoppiata alla vita piatta e codificata. . È aperta a nuovi orizzonti, a ripercorrere frammenti di esistenza individuale nei nuovi concetti di universalità. È rappresentazione ma anche auto-riflessione, è concetto, pensiero, idea, manualità, tecnologia. Ciò non toglie che si possa scegliere di lavorare nella fedeltà del mezzo e con esiti straordinari, vedi Sasnal. Una condizione di ansia, di imprevedibilità, rende la pittura invece molto contemporanea. No, la pittura non è morta e nemmeno ghettizzata. Dagli artisti ci si può aspettare ancora molto altro. Difficile è invece accostarsi a questo mondo di nicchia senza speculare o immortalare facilmente.

 È difficile dipingere oggi, come, lo ripeto, è difficile fare arte in generale. Dico solo un paio di cose in più specifiche sulla pittura. La prima è che forse è nelle accademie che la pittura è o è stata negli ultimi tempi “ghettizzata”, perché i nostri colleghi non sanno che dirne e farne. Ricordo che è molto difficile entrare in Accademie statali con liberi concorsi e spesso solo la “conoscenza” può farti diventare docente in un’Accademia. La seconda è che dalla pittura può forse venire addirittura un rinnovamento auspicabile dell’arte in generale che sintetizzerei con le parole di Doig che rispondono in un’intervista alla domanda sul perché ha scelto la pittura: “Senza dubbio perché mi sembrava una nicchia, come se si trattasse di un’attività un po’ a parte. Era quasi come diventare poeta”. Invece di celebrare sempre i “soliti” noti proviamo a vedere chi c’è in giro, chi lavora seriamente e con cognizione di causa. Ne troveremo “ Altri”. Altri chi? Altri artisti. Il problema sta piuttosto qua.

Già da tempo la pittura non riesce a intercettare l’attenzione e la considerazione del gotha dell’arte contemporanea internazionale, di osservanza strettamente concettuale. In questo senso, il linguaggio si conferma l’indicatore per eccellenza delle tendenze: se in passato infatti il termine pittura era sinonimo di arte, oggi descrive letteralmente la tecnica pittorica. Ciò che viene riconosciuto prioritario è il pensiero artistico, di volta in volta tradotto in collage, dipinti, scultura, film, installazioni, ecc, spesso assemblati tutti insieme, come ci insegnano molti artisti. La sfida oggi richiesta, afferma l’antropologo delle scienze Bruno Latour, non è solo di gestire e produrre (nel nostro caso un’opera), ma di pensare il proprio tempo, ovvero di “proporre dei concetti che cerchino di catturare l’esperienza attuale di una molteplicità di attori”. Ricordo con piacere le lezioni di storia dell’arte del grande professore Giorgio Di Genova e la valenza oggi mi appare sempre moderna ed attuale. Un giorno a casa sua a Roma gli chiesi: “ Dopo tutti gli studi intrapresi e le varie considerazioni sul fare arte, caro mio professore in una parola, cos’è l’arte?”. Mi rispose così: “L’arte è come il respiro; c’è chi respira affannosamente, con facilità, con sofferenza, con leggerezza, a singhiozzo ecc.” La tua lezione continua ad essere valida e ne contraddistingue il respiro del mondo e della sua umanità, ed imparare a riconoscerlo è una lezione che mi è rimasta integra e che nel tempo mi ha fatto amare questo mondo misterioso, tecnico, surreale, umano ed interiore dove entri nel mistero profondo di coloro che fanno arte con dedizione e vera anima. Il peggior nemico della pittura è proprio l’esercito dipingente e presuntuoso che ha ucciso perfino il fascino della cattiva pittura. Il seguito è la considerazione di certi operatori artistici che hanno un tornaconto economico, poco attento alla qualità. “Cosi è se vi pare”… ma a parer mio la vera qualità della pittura è la pittura stessa, col suo fascino sempre attuale, mai obsoleto.

Maria Tripoli

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