Nonostante le note difficoltà in cui naviga l’amministrazione del Teatro Massimo Bellini di Catania, la programmazione della stagione procede con discreto successo. A parte il tracollo di Carmen, la successione degli spettacoli è stata di buona qualità.
Un ritorno di vera arte, per Tosca, dovuto soprattutto alla raffinata regia di Giovanni Anfuso. Anche dal punto di vista musicale, discreta si può considerare la direzione dell’orchestra, da parte del maestro Giuliano Carella.
Un gradevole spettacolo di “sinfonie in danza”, regalatoci dalla compagnia Cosi-Stefanescu, ha fatto visualizzare mediante scene danzate, i più famosi brani sinfonici, come il I movimento de “La Patetica” di Ciaikovskij o de “Les Preludes” di Liszt, ma non sono mancati anche brani tratti da Schiaccianoci e Romeo e Giulietta. Come detto, uno spettacolo ben concentrato, grazie anche alla direzione del maestro Stefano Miceli.
Un vero fiore all’occhiello, l’opera “Le nozze di Figaro” con la regia di Luca Verdone. Uno spettacolo che si può definire radioso sia nelle scene e costumi, sia nell’esecuzione del maestro Sergio Alapont.
Ugo Gagliardo ha saputo impersonare un simpatico Figaro, amoroso, ma geloso. L’intraprendente Susanna è stata ben descritta da Ekaterina Sadovnikova.
Un incantevole “Lago dei cigni” è stato proposto dal Balletto dell’Opera di Stato di Praga, regalando momenti di vera emozione, soprattutto la protagonista Alina Nanu, nel ruolo di Odette, in una struggente morte del cigno.
Il cambio del Direttore Artistico nella persona di Xu Zhong, quindi non sembra aver destato significativi mutamenti nel corso della stagione.
Fin qui tutto bene. E Poi? Che cosa succederà dopo l’estate? È vero che grazie ai tagli, i fondi non saranno sufficienti al proseguimento della stagione? Deve proprio finire così?
Ci mancheranno quei gesti semplici ma carichi di emozione, come quello della maestra, Tiziana Carlini, che con la sua eleganza si inchina davanti al pubblico, per poi indicare il coro. Dove saranno i direttori che a fine spettacolo compariranno in palcoscenico con la bacchetta in mano e che si chineranno applaudendo verso la buca dell’orchestra? Ci mancheranno le piccole voci di Elisa Poidomani.
Ci mancherà quel rituale alla fine di ogni atto, quando al centro, il sipario si allarga tra i due lembi, per far uscire i cantanti che si tengono per mano come in una cordata. E le signorine con quei visini gentili, che conducono i nuovi del pubblico ai loro posti?
Non riesco proprio a immaginare che ad artisti di valore come i professori d’orchestra o agli elementi del Coro, qualcuno possa dire: “Signori, è tutto finito, tornate alle vostre case. La città di Catania non ha più bisogno di voi”.
Licenziati pure gli impiegati, i Vigili Urbani, o chi per loro, si chiuderanno i cancelli alle spalle per l’ultima volta. La polvere e le ragnatele col tempo seppelliranno le poltrone in velluto, magari tarlate, e le suppellettili.
Non voglio proprio pensare che, come scrisse in un suo testo Alvise Spadaro, il teatro sarà ricordato nel 2098 come Massimo Bellini. Massimo il nome, Bellini il cognome.
Un futuro così non riesco proprio a immaginarmelo, e non voglio immaginarlo.
E allora, Catanesi, Amministratori, Politici, svegliatevi. La morte della cultura è la morte dell’anima.
Alessandro Scardaci