Giacomo Leopardi: ritrovata una terza copia autografa de “L’infinito”

Posted by on May 25th, 2014 and filed under Cultura, News. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Naturalmente, anzi purtroppo, trattandosi di poesia, per molti l’avvenimento è passato quasi del tutto inosservato, i media hanno altro da pensare per fare audience. È una notizia del 15 maggio scorso, e riguarda certamente una delle più belle e celebrate poesie di ogni tempo “L’infinito” di Giacomo Leopardi. Ebbene, s’era a conoscenza dell’esistenza di due copie autografe di questo capolavoro, una conservata presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, risalente al 1819, e un’altra a Visso, un piccolo paese nei pressi di Macerata, riconducibile all’incirca tra il 1824 e il 1825. È probabile che quella conservata a Napoli abbia origini dal fatto che il poeta seguì l’amico Antonio Ranieri in questa città, e che Leopardi, prima di allontanarsi per sempre da Recanati, abbia voluto portare con sé una copia della sua poesia.
Ebbene, in questi giorni è circolata la notizia del ritrovamento di una terza copia autografa del “L’infinito”, rinvenuta dal fondo della campagna marchigiana e pare ben conservata. La copia autografa potrebbe risalire agli anni 1821-22 ed è tuttora conservata presso l’Università di Macerata, sotto attenta osservazione degli studiosi. In un primo momento s’era subito pensato ad un falso, ma accurate analisi hanno provato che sia la filigrana che l’inchiostro utilizzati risalgono all’epoca leopardiana. Ma soprattutto l’esame grafico pare non lasci dubbi. Marcello Andria, autorevole esperto che ha condotto l’esame grafico, ci dice che la mano è quella del Poeta di Recanati.
Perché, dunque, Leopardi abbia sentita la necessità di conservare una terza copia autografa del suo capolavoro? La domanda è affascinante fino al punto d’averla già  denominata come copia “di sicurezza”. Laura Melosi, docente del Dipartimento di Studi umanistici, lingue, mediazione, storia, lettere, filosofia dell’università di Macerata,  nonché responsabile della Cattedra “Giacomo Leopardi”, avanza un’ipotesi che avrà ampia ricostruzione in un saggio in uscita a giugno sulla “Rassegna della Letteratura Italiana”: Leopardi avrebbe realizzato questo manoscritto “riproducendone con precisione anche i passaggi correttori per fissare l’articolarsi dell’ispirazione lirica a tutti i suoi stadi”, dal momento che “l’utilizzo di copie di lavoro su cui estendere l’elaborazione e la riflessione intorno a ciò che sta prendendo forma è una pratica che si riscontra altre volte nella filologia dei Canti”.
Ma, com’è probabile, sarebbe ancora più affascinante se si pensasse che Leopardi, prima della sua partenza per Roma con l’amico Ranieri, si sia voluto assicurare di lasciare una trascrizione di questa sua stupenda poesia a Recanati.
È pur sempre la sua città natale, nonostante le ostilità e i conflitti familiari e sociali, dalla quale però ha tratto ispirazione per i suoi capolavori compreso “L’infinito”, che pubblichiamo di seguito per viverlo ancora una volta con profonda intensità.

L’infinito
di Giacomo Leopardi

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
5 spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
10 infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
15 e il naufragar m’è dolce in questo mare.

                                        Antonio Ragone

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