Con l’ampliarsi dell’industria dell’abbigliamento e dei mezzi di informazione, il richiamo e il bisogno di moda sono aumentati.
Nei fatidici anni ‘80 grandi magazzini e negozi si sono trovati a vendere di più ed in maniera diversa.
E il bisogno di rendere reali, le immagini spesso fantastiche delle riviste di moda, porta a sviluppare arte, talento, psicologia e capacità di vendere degli operatori dei settori.
Il fotografo di moda diventa uno dei protagonisti di questo periodo e, le sfilate, spettacoli in grandi stile che portano alla nascita di veri specialisti come scenografi, per l’allestimento, e registi, che studiano coreografie dei movimenti delle modelle. E l’abito non è più uno status symbol di una classe sociale, ma rappresentazione della propria personalità .
È il segno della crescita della donna come individuo, con le sue fobie, aspettative. Un grande calderone in cui gli psicologi troveranno argomenti per il loro lavoro. Da Freud in poi lo sviluppo della psicanalisi si reggerà anche su questi argomenti, apparentemente disinvolti ma che entrano a far parte del nostro vissuto, del rapporto con il nostro corpo e la nostra mente e la voglia di apparire a seconda il nostro benessere psico-fisico. Argomenti contestualizzati all’interno di una società che manifesta sempre di più il disagio di vivere attraverso provocazione e disgusto.
A questo punto è doveroso tracciare una panoramica su come l’arte si sia abbracciata alla moda in un dialogo continuo e parallelo in cui l’uno era dentro l’altro. Anno 1909: nasce ufficialmente il Futurismo tra la Parigi d’avanguardia e la Roma marinettiana. Giacomo Balla e Fortunato Depero diventano nomi essenziali per capirne alcuni versanti pittorici lungo gli assetti più moderni del Novecento. Ma anche per introdurci al neonato connubio tra la creazione artistica e il capo d’abbigliamento. Consideriamoli lo spartiacque verso un modernismo sorprendente e versatile.
Le giacche asimmetriche di Balla assorbivano gli studi sulla velocità astratta. Nel 1923 arrivavano i panciotti di Depero con elementi geometrici e figure di animali. Da casa Balla uscivano prendisole, golf e abiti femminili. Arte e Moda strinsero qui il loro patto a lunga fusione. Si avviò una relazione sistematica, innovativa, a metà tra le esigenze di oggetti pensanti e l’attenzione ai canoni di estetica. Una moda colta, innovativa e comoda e al contempo avveniristica. Dove l’arte non era semplice concordanza ma sinergia già totale. Da qui in poi le trame tra arte e moda furono segnate in Europa, sull’onda delle avanguardie e dello spazialismo poi, con il grande Lucio Fontana che trasferì l’abito dentro le istanze concettuali dello spazio profondo. Tagliò e bucò tre capi femminili per una nota casa di moda; era l’anno 1961. Lo Spazialismo partecipava da tempo al dibattito delle migliori avanguardie.
Le spaccature di Fontana portavano lo sguardo lontano, aprivano orizzonti incredibili per gli artisti intuitivi. Squarci fondamentali nel dibattito sulle relazioni tra arte visiva, spazio fisico e abito moderno. Ripensiamo ai tessuti policromi di Sonia Delaunay; le uniformi da lavoro di Ljubov Popova. Dagli anni Sessanta in poi, artisti di “ambientazione pop” interagirono coi meccanismi della moda. Accadde al meglio con Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Roy Lichtenstein, Alighiero Boetti, Piero Gilardi, Daniel Spoerri… Finché una grande “lezione pop” giunse da un vero artista del vestire: Yves Saint Laurent. Che giocò tra le citazioni di Piet Mondrian, Pablo Picasso, Henri Matisse, surrealisti e Pop Art. Il grande artista creatore della moda, riformulò i riferimenti, stuzzicò l’ironia e la mischiò all’eleganza della cultura stradale.
Un vero artista che attraversò alcuni linguaggi e ne scelse uno come centrale. La visione del futuro tecnologico toccò a Paco Rabanne, Pierre Cardin e André Courrèges. Tre maestri per un viaggio unico tra anni Sessanta e tempo a venire, in cui l’essenzialismo si legherà al percorso artistico di quegli anni.
Molti furono i passaggi successivi, i grandi autori da citare, i connubi fortunati tra il vestire e le componenti strutturali dell’arte contemporanea. Ovvero, la proposta incessante che, oggi, stimola le relazioni tra la moda e l’arte. Ecco che la confusione si para davanti allo sguardo esaltato. Così dovrebbe trovarsi uno spettatore che scruta l’oceano propositivo sopra riviste, schermi e cartelloni tra contaminazioni e combinazioni, tra mescolamenti di creatività combacianti ma distinte. In parole povere, non crediamo che quanto ci spacciano per nuovo sia privo di dirette similitudini storiche. La bravura dell’innovazione attuale riguarda la soluzione combinatoria che un artista crea con strumenti preesistenti.
Così, Arte e Moda, quando l’incontro rispetta le regole imposte, creano un “terzo contesto”. Un “ambiente” dove i linguaggi rimangono integri e costruiscono una via ulteriore tramite la metodicità dei fatti. Significa che il risultato soddisfa le esigenze ed aspettative di una collettività in cui la contemporaneità ha trovato un processo di giusta sintesi. L’autonomia del percorso riprende la lezione eccellente di Balla e Fontana. Moda e Arte dialogano ormai in forme capillari, estroflesse, estese per quantità di fruitori e qualità di formulazioni.
Nascono grandi mostre internazionali (la Biennale di Firenze, gli eventi fiorentini alla Stazione Leopolda e quelli milanesi curati da Luigi Settembrini…), fondazioni sempre più illuminate (la Fondazione Prada, per portafoglio e intuito, svetta su tutte), negozi che superano la qualità di molte installazioni museali (Droog Design per Mandarina Duck a Parigi, Comme des Garçons a New York, Herzog & de Meuron per Prada ecc.), fotografi che diventano vere e proprie imprese della combinazione linguistica (Juergen Teller, David LaChapelle…),stilisti che agiscono con la struttura di un vero artista (Martin Margiela, Comme des Garçons),libri di stilisti all’altezza dei migliori cataloghi d’arte.
Alcuni artisti, poi, indagano quel sottile confine tra la propria identità e la dimensione pittorico/scultorea del vestito. Sono gli “autori ibridi” che scorrono senza difficoltà da musei a sfilate parigine, da gallerie a negozi che si tramutano in spazi espositivi. Tra le italiane merita attenzione il ruolo misto di Alessia Parenti: la più “indecisa” tra le regole della pittura contaminata, le scale ambientali della scultura e le aperture dell’abito artigianale con distribuzione commerciale miratissime.
L’arte come valore aggiunto capace di accostarsi al mondo della moda per amplificarne il potenziale. Un plus per tutti quei soggetti pubblici e privati che vedono nella dimensione artistica uno strumento privilegiato, beni fondati sulla creatività, come un’opera d’arte o un abito di moda.
L’opera creativa di Mario Merz è, dunque, significativamente diversa da quella di Giorgio Armani perché gli artisti sopravvivono a se stessi, ma solo nel mercato antiquario e nei musei, mentre le grandi case di moda nate dal genio di uno stilista continuano nel sentiero della produzione creativa. Il sistema moda e il sistema arte corrispondono a due formule organizzative analoghe oppure uno è più evoluto dell’altro nell’uso dei diritti di protezione delle idee e nell’impiego dei segni distintivi e dei marchi?
La creatività è uno slancio senza fine, è un bene anti-utilitario. Funziona come un fattore di auto- soddisfazione intrinseca. Il creatore offre il suo tempo di lavoro perché ne trae piacere ed è una delle più importanti motivazioni dell’uomo che si basa sul principio dell’arte per l’arte. L’innovazione invece è diretta verso il cambiamento estetico, tecnologico e funzionale ed è pertanto un atto utilitaristico e cumulativo. Riguarda il consumo verso un oggetto di fortuna decretato dal pubblico. Più la creatività e la componente intellettuale di un oggetto hanno valore economico, più elevati sono gli incentivi alla copia. Infine la creatività è un bene non esauribile e non saturabile il cui supporto è l’idea.
L’idea esprime, descrive e storicizza un atto creativo. Contrariamente alle risorse naturali, le idee che risultano dalla creatività umana sono pienamente sfruttabili. La creatività dei beni della moda è connessa alla evoluzione della società, ed è quindi in continuo rinnovamento, nutrendosi di effetti di sistema e di sinergia. Un capitale su cui puntare anche quando il creatore scompare. Ciò accade nella moda e non nell’arte, perché quando il maestro scompare, nessuno ne può prendere il posto. Non c’è mai la “Scuola Schifano” o la “Scuola Manzoni” che sopravviva alla morte dell’artista.
L’arte contemporanea è un fenomeno individualista, senza relazione con il mercato della produzione di serie ed il consumo. Unica novità nel campo dell’arte contemporanea è la scelta di alcuni artisti (tra gli ultimi Michelangelo Pistoletto e Mario Merz) di costituire una Fondazione d’arte che porta il loro nome. Questa scelta tuttavia è la consacrazione del lavoro di un artista. Gli atelier invece costituiscono il luogo ideale per la sostituzione dei vecchi maestri con i giovani talentuosi, che andranno a sostituire i vecchi stilisti.
Il bisogno di rinnovare la creatività è essenziale, pena la scomparsa della maison alla stagione successiva. Ogni anno occorre preparare almeno una collezione invernale ed una estiva. Il mercato ha le sue regole ferree per una garanzia di successo e quindi un tasso costante di creatività stimolante per la produttività. Quando si ha una successione nel campo della moda, la nuova generazione sfrutta le strutture organizzative della precedente. I francesi furono i primi che negli anni cinquanta-sessanta sfruttarono questi metodi.
Gli italiani successivamente coniugarono abilmente la flessibilità organizzativa industriale con la creatività dei nuovi maestri Armani, Versace, Valentino, ecc. Infine arrivarono gli americani con l’invenzione del casual, dello sportweare e della grande distribuzione. Negli anni 1990-2000 il rinnovamento è stato radicale: Tarlazzi per Guy Laroche, Ferré per Dior, Lagerfeld per Chanel, e ancora Galliano… Per quanto le origini del sistema moda siano assolutamente più recenti rispetto al sistema arte sembra importante sottolineare differenze significative, soprattutto per le maggiori opportunità che quest’ultimo sa creare e cogliere in tema di economia. L’arte contemporanea invece appare come un sistema che evolve troppo lentamente rispetto ad altri meccanismi sociali di produzione ma in compenso si avvale di un patrimonio culturale ed umano importante e rinomato.
Maria Tripoli