La silloge della poetessa ed attrice Marina Donadi rivela in prima analisi una spontanea e forte vocazione poetica senz’alcun compiacimento formalistico, estraneo a certe motivazioni ermetiche.
Le immagini che ci comunica non si esprimono in termini astratti, ma attraverso particolari visivi ed uditivi – non per niente la poetessa ha avuto esperienze teatrali e televisive – infatti si esprime con suoni onomatopeici e un gusto quasi melodrammatico dell’immagine che vuole comunicarci.
Molti dei temi ricorrenti sono legati alla città di Venezia, che la poetessa ci mostra in tutto il suo splendore: una Venezia che forse esiste solo nei nostri sogni, una Venezia che solo Federico Fellini ci poteva mostrare – lui con le immagini, lei, la poetessa, con le parole – una Venezia luminosissima con quella luce particolare dei dipinti di Canaletto e Guardi, ricca di ori, broccati, perle, con i colori e le nuvole di Tiepolo ed il fasto opulento dei dipinti di Tintoretto e del Veronese.
Marina Donadi nasce a Venezia, in una grande casa che si affaccia su un canale nel sestriere di Rialto. Le regalano da piccola un teatrino con le marionette e da allora il teatro entra nel suo cuore. Mentre studia al liceo inizia a lavorare nella Commedia dell’Arte, vince poi una borsa di studio e si diploma a Roma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico.
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