Visitare il celebre quartiere residenziale di Londra ripercorrendo i passi di Hugh Grant e Julia Roberts nel capolavoro targato Richard Curtis
Un sogno. Un’emozione grandissima. Quasi come risvegliarsi protagonista di una favola. Scorazzare, a volte correndo, tra quei vicoli e innumerevoli viuzze parallele. Per più di dieci anni hai sognato di essere lì, augurandoti un giorno di poter toccare con mano quella realtà che, per mezzo del grande schermo, ha iniziato a ossessionarti, presentandoti quei luoghi come un piccolo paradiso terrestre destinato esclusivamente alla visione ma enormemente lontano da qualcosa di tangibile, materiale, concreto. Imboccando il primo tunnel di uscita dall’underground ti ritrovi catapultato in quel mondo, respirando un’aria pervasa da un profumo vagamente hollywoodiano. Per me il sogno si è realizzato qualche settimana fa quando, in occasione di una vacanza a Londra, ho finalmente messo piede in quei luoghi mitici. Notting Hill, questo il nome, della piccola realtà urbana di una metropoli sconfinata quale Londra. Un melting pot. In questo caso parlerei di una sorta di amore a prima vista che, puntualmente, assale il visitatore. E’ una Londra estremamente calda, per gli standard del luogo, quella che ha ospitato il periodo del mio soggiorno, ma, il pomeriggio della mia visita, le condizioni metereologiche riconducono il tutto alla tipica atmosfera uggiosa e nuvolosa tipicamente bretone. L’atmosfera frizzante e accogliente è, però, sempre la stessa. Il punto di partenza è per me l’ormai consueta stazione di King’s Cross/St. Pancras: da qui è consigliabile imboccare la Victoria line per poi, dopo poche fermate, cambiare a Oxford Circus. Per chiunque abbia un minimo di familiarità con la Tube londinese non sarà difficile, dopo cinque fermate delle Central line, scendere a Notting Hill Gate.
Possiamo, così, dare inizio a un rapido e vario excursus storico, turistico e pratico di questo singolare distretto. Ci troviamo nel Royal Borough of Kensington and Chelsea (W11 n.d.r.), a occidente rispetto alla City, e a due passi dai musei della Scienza e di Storia Naturale, dal Victoria and Albert e dai magazzini di Harrods. Un quartiere residenziale che cozza con l’immediato contrasto della parte popolare di questo, sfociando poi in Portobello Road. Ma torniamo un po’ indietro nel tempo fino ad arrivare in epoca vittoriana… Quando, intorno alla metà del diciannovesimo secolo, Londra non raggiungeva l’attuale estensione, i territori in questione erano lande di campagna, e tra queste sorgeva la Portobello Farm. Tra fieno e fruttetti, una corsia di paese collegava Kensigton Gravel Pits e Kensal Green. La fattoria di Portobello, eretta nel 1740 in zona Gelborne Road, deve il proprio nome alla celebre vittoria dell’ammiraglio Vernon a Puerto Bello, a Panamà, nella guerra di Jenkin’s Ear. Una prima urbanizzazione e bonifica della zona a inizio ‘800, unitamente al collegamento della ferrovia, permise alla ricca borghesia grandi investimenti nei mercati e negozi locali. Sontuose e monumentali case circondate da viali alberati: questi i tipici tratti che connotano gli isolati. Eppure un significativo afflusso di immigrati afrocaraibici segnò i primi del ‘900, tanto che nel ’58 Pembridge Road divenne per quattro giorni epicentro di tensioni razziali, “riots” e tumulti. Come risposta non ufficiale e silente ai moti, l’anno seguente, prese vita un grande carnevale di strada, oggi conosciuto in tutto il mondo. Ai tempi delle prime edizioni l’insolito carnevale era una semplice sfilata di carri corredati da ballerini e musica a palla. Oggi, dopo più di cinquant’anni, la manifestazione sfiora e supera il milione di presenze, con grandi carri, costumi folkloristici e tanta tanta samba, divenendo, così, il più grande carnevale di strada dopo Rio. Nessuna regola: folla e frastuono in cima alla lista! Insomma, durante il Summer Bank Holiday, ultimo weekend di agosto, quando le banche sono chiuse, il visitatore può prepararsi a due giorni da urlo. Per cinque chilometri la processione di gente, che, con un budget limitato, fa festa e si diverte, intasa le vie e mobilita gli spostamenti. Non facili i movimenti e sporadici gli eventi spiacevoli (del resto, come trattenere grandi masse in preda ai piaceri dell’alcool…). Ad ogni modo, con il corso degli anni sono state adottate misure di sicurezza sufficientemente valide (un buon numero di “bobbies” e la tube con viabilità limitata possono bastare). C’è da dire, però, che gli inglesi non amano i carnevali, tradizione di una cultura più calda.
Poi c’è Portobello Road, via celebre per il mercato che si tiene dal lunedì al sabato in questa lunga strada trasbordante di negozietti, bancarelle, pub e ristoranti di ogni etnia e cultura. Nella popolare strada, salvata anni addietro dalla stretta delle industrie, il mercato si presenta giornalmente puntuale: generico, ortofrutticolo (Colville Terrace/Westbourne Park Road) e biologico. Sicuramente, però, il mercatino di antiquariato del sabato è il più gettonato da autentici cercatori di occasioni! Rarità per tutte le tasche, anche se per lo più costose, si annidano tra una bancarella e l’altra o, più semplicemente, esposte su teli bianchi a terra. “Many goods”, soprammobili (i cosìdetti “knick knacks”), oggetti inusuali o “usa e getta”. Nonostante la procedura di “esposizione”, oggetti di ottima fattura sono facilmente reperibili, così come un ampio campionario di vestiti nuovi e usati. Il lungo e sinuoso curvone di Portobello Road si allontana dai dispendiosi esercizi commerciali all’incrocio con Chepstow Road per giungere al più abbordabile sottopassaggio Westway o alla zona di Golborne Road. Se poi si è alla ricerca di buona cucina, questa non manca di certo: sempre calda presso i vari stand o, se interessati a qualcosa di sfizioso, bisogna rivolgersi all’Electric Brasserie, al 202, al The Hillgate o al The Cow. Il tutto “surrounded” dalle folkloristiche case color pastello con tonalità che spaziano dal verde, all’azzurro, dal rosa, al giallo. Notting Hill e la sua vitalità sono testimonianza di un quartiere tuttora a misura d’uomo, o quasi… Ormai i prezzi di acquisto o di affitto delle semplici terraced house sono quasi inaccessibili, per non parlare di quelli delle semi-detached! A partire dal nuovo millennio, infatti, il valore degli immobili ha registrato uno sproporzionato aumento dovuto non solo all’effettiva bellezza del borough londinese ma anche a numerose celebrities che hanno stabilito qui le proprie residenze… Claudia Schiffer, Robbie Williams, Bella Freud, Damon Albarn, e molte altre, le very important people che vivono qui o lo hanno fatto, come i Rolling Stones, i Pink Floyd, Eric Clapton, i Led Zeppelin e Jimi Hendrix (che ha anche trovato la morte in un hotel del posto). Persino George Orwell visse qui dopo essersi dimesso dalla Soprintendenza della polizia imperiale della Birmania. Possiamo concludere che, oramai, si può parlare con facilità e veridicità di un quartiere élite tra i più desiderati.
Tuttuvia l’aspetto chic di Notting Hill è relativamente recente: può risultare difficile da credere che, intorno alla metà del secolo scorso, una delle più ambite e affascinanti aree di Londra venisse definita come un’imponente topaia dei bassafondi, un tugurio malfrequentato, connotato da case stracolme e condivise da innumerevoli coinquilini. Una vera e propria “casba”. Certamente una realtà che sembra improponibile quella di una Notting Hill brulicante di ratti e spazzatura… Una meta sconsigliata e decisamente da evitare! Situata in una delle zone più prestigiose della Big Smoke, veniva etichettata come una sorta di mela marcia. Sicuramente cinquant’anni fa nessuno avrebbe mai pensato di girarci un film… ma questa è un’altra storia. Nello sconfinato deserto di due secoli fa, solo nel 1840 sorsero le tenute di Ladbroke e Norland. Al tempo Notting Hill era conosciuta per le Potteries, ovvero le numerosissime fabbriche di ceramiche, e per le Piggeries, gli allevamenti di maiali (il rapporto “animaletti rosa”-abitanti era di 3:1 n.d.r.). Un pensiero davvero poco “stuzzicante”… Vennero ricavate, in seguito, multiproprietà, ma, con l’avvento della guerra, l’area subì profonde alterazioni. Mai esempio più azzeccato in questione di cambiamento e tendenza. Negli ultimi trent’anni sono state, infatti, significative le trasformazioni e i miglioramenti che hanno portato allo stato che il borgo detiene tutt’oggi, tanto da contribuire a rendere il RBKC l’autorità locale più densamente popolata del Regno Unito e vero e proprio centro nevralgico della nuova Londra. In campo letterario il distretto è stato citato anche da Sir Arthur Conan Doyle con l’assassino Selden, ne “Il mastino di Baskerville”, e fonte di ispirazione e ambientazione per G. K. Chesterton e Paulo Coelho.
Inutile dilungarci oltre quando l’ultimo punto del nostro reportage potrebbe essere facilimente intuibile. Torniamo a un lontano 21 maggio 1999 quando, nelle sale inglesi, usciva quello che di lì a poco sarebbe diventato un kolossal del cinema romantico d’autore: Notting Hill, con la regia di Roger Michell e su soggetto del grande Richard Curtis. Oggi, come quattordici anni fa, rimane uno dei film maggiormente apprezzati dello stile british. Curtis, il produttore Duncan Kenworthy, il compositore Trevor Jones e lo scenografo Stuart Craig sono gli stessi che pochi anni prima realizzarono “Quattro matrimoni e un funerale”, tanto che molti cineamatori intravedono nelle due pellicole punti di contatto. Com’è riuscito questo film a vincere tre Empire Awards e tre nomination ai Golden Globe, guadagnando oltre quattrocento milioni di dollari e vendendo più di ventidue milioni di biglietti? Semplicità, humor inglese e favola del ventunesimo secolo a lieto fine…
Lui è William Thacker, “ordinary”, timido, con un decente equilibrio e con poca disinvoltura in amore. Propietario di una piccola e fallimentare libreria di guide da viaggio, conduce una vita normale fino a quando Anna Scott, volto di Hollywood più in voga del momento, entra nella sua libreria. Il destino dei due inizia a intrecciarsi. Cinque minuti dopo, urtandola per strada, William riversa una spremuta d’arancia sul toppino della diva e… la invita a casa propria, giusto dall’altro lato della strada, per darsi una ripulita. Scatta la scintilla e Anna, prima di lasciare l’abitazione con il portone blu, lo bacia. Il tutto viene interrotto dall’arrivo di Spike, folle ed eccentrico coinquilino gallese di William. Tenendo nascosto l’accaduto, i due si rincontraranno al Ritz su invito, stavolta, dell’attrice. Al suo arrivo, però, William trova la ragazza nel bel mezzo di un ricevimento con membri della stampa per la promozione di Helix, ultimo lavoto della Scott. Esilarante il siparietto in cui Thacker si presenta come corrispondente di “Cavalli e segugi”, divenendo, con la propria esigua professionalità nelle vesti di giornalista, protagonista di gaffes e inspiegabili uscite con i membri del cast (nel brave cameo appare una giovanissima Mischa Barton). Il librario riesce a invitare la superstar alla festa di compleanno della propria sorella, Honey. In quella serata tra amici con Bella, Max, Bernie e la festeggiata Honey, Anna riesce a farsi amare non solo come l’artista che tutti conoscono ma anche come semplice ragazza. Al termine della serata, i due si introducono in uno dei tipici giardinetti privati del distretto londinese e si baciano nuovamente. Tempo dopo, Anna lo invita nella propria suite del Ritz ma viene a sapere dell’arrivo del fidanzato Jeff (Alec Baldwin). William si finge un cameriere e l’attore americano lo tratta a pesci in faccia. L’episodio ricorda a William le diversità che intercorrono tra i due e tra i mondi di provenienza. La storia non può funzionare ma il fragile libraio non dimentica… Mesi dopo l’attrice bussa alla casa dal portone blu cercando rifugio dalla stampa, che ha pubblicato alcune sue foto compromettenti. La mattina dopo William e Anna si presentano alla porta dove vengono assaliti dai flash dei giornalisti: Spike si è lasciato sfuggire la notizia nel vicino pub. Ed è nuovamente rottura… Mesi dopo William decide di recarsi sul set ad Hampstead Heath, dove la Scott sta girando un film. Il giovane assiste alle riprese e ascolta in cuffia i dialoghi degli artisti: in una pausa, Anna, parlando di William con un collega, non manifesta per il libraio alcun sentimento. Will, deluso, scappa via. Il giorno dopo Anna si presenta al Travel Bookshop, pregando il ragazzo di tornare a frequentarsi ma lui la respinge, timoroso della possibilità di una nuova rottura che il proprio cuore non avrebbe retto. Fatto rinsavire dalle parole degli amici, che gli fanno comprendere l’errore, William si fionda all’hotel Savoy, dove l’attrice sta tenendo una conferenza stampa prima di ripartire per gli States. Davanti a una folla di giornalisti il giovane londinese chiede ad Anna di rimanere con lui e rinviare la partenza. Il finale? Scontato: come rifiutare? La favola ha l’atteso lieto fine (o happy end, se preferite)…
Personalmente, avrò visto “Notting Hill” almeno una ventina di volte e mai mi stancherò di farlo… Un film romantico vecchia maniera, curatissimo nei dettagli e nei dialoghi. Pellicola ove il valore artistico e culturale supera quello cinematografico. Eccellente ritratto di una realtà suburbana, anche se abbondantemente ripulita etnicamente della maggioranza nera che popola la zona. Quasi trascuravo un dettaglio non irrelevante… Da chi è composto il cast? Julia Roberts, con il suo meraviglioso sorriso, interpreta sè stessa al microscopio con un pizzico di autoironia da vera star internazionale che impara a conoscersi come una persona “normale”. Mai scelta più azzeccata e di prima fascia. Hugh Grant, anch’egli nelle proprie vesti, personifica il tipico allocco, impacciato e bamboccione inglese, nel ruolo di un maldestro e improbabile amante. Essenziali anche le interpretazioni dei personaggi di contorno. Rhys Ifans e Emma G. M. Chambers sono la coppia di svitati costituita da Spike e Honey. Più credibili, come coppia, invece, Tim McInnerny e Gina McKee nei panni di Max e Bella. Notting Hill è la cronaca di un sogno impossibile che si tramuta in concreta realtà, dove l’umile innamorato non snatura i propri comportamenti pur di riuscire, avallando, comunque, le diversità sociali e di ambienti. Il soggetto, solido, prettamente di natura teatrale, appare convincente, quasi umano, facendo permeare quella naturalezza e compostezza tipica del distretto. Sfatiamo, finalmente, il falso mito della richezza e del successo, facendo trionfare l’anonimato, una visione positiva della vita e personaggi genuini e vulnerabili. Ogni film con la Roberts sembra appartenere al genere della favola moderna, come nel film che nel ’90 l’ha consacrata, Pretty Woman. Come dimenticare quando Anna dice a Will: “La faccenda della fama non è una cosa reale sai… e non dimenticare che sono anche una semplice ragazza, che sta di fronte a un ragazzo e gli sta chiedendo di amarla…”. Le distanze dei sogni si accorciano fino ad annullarsi. Chi non vorrebbe uno scenario simile prendere possesso della propria vita? Se fosse possibile, ci metterei la firma. Il cartellone del film recitava così: “Può la più grande star cinematografica del mondo innamorarsi di un ragazzo comune?”. La risposta è affermativa. Il titolo che ho scelto è “surreale, ma bello”, una delle più celebri e riuscite battute del film, ma che al meglio ne riassume la trama. Superba la mano di Curtis (che trovò nel sonno l’ispirazione) non dimenticando che è lui l’ideatore della serie Tv inglese Mr. Bean, vera pietra miliare. A fare da colonna sonora Shana Twain, i Boyzone e Van Morrison ma il vero piatto forte sono la stupenda “When you say nothing at all” di Ronan Keating e “She”, storico brano di Charles Aznavour, reinterpretata da Elvis Costello. Soundtrack, tra l’altro, premiata anche ai Brit Awards.
Il vero tocco, è il caso di dirlo, d’artista è “La Mariée” realizzato nel 1950 da Marc Chagall. Il dipinto, raffigurante in primo piano una giovane sposa con abito rosso e velo bianco con un bouquet in mano, simboleggia la nostalgia per qualcosa che si è perduto. Nello sfondo, in contrasto, predominano il blu notte e il grigio con una capra che suona il violino. Da vera protagonista, alla sposa viene assicurato il velo da una figura che le circonda la testa come in un abbraccio. Lo sposo in questione è lo spettatore verso cui la giovane, leggermente ridente, si rivolge. In lontananza è possibile scorgere la chiesa. Appartenendo a una collezione privata e avendo un valore che si aggira intorno al milione di dollari, in occasione del film ne venne autorizzata una copia, in seguito distrutta per scongiurare problemi, vista la verosimiglianza. Un inno all’amore giovane che “ti mostra come dovrebbe essere l’amore: fluttuare nel cielo blu scuro con una capra che suona il violino! La felicità non è felicità senza una capra che suona il violino”.
Marco Fallanca
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