Il ruolo delle immagini e delle parole è fondamentale fin dalle origini dell’umanità.
L’immagine disegnata è più antica della parola scritta; lingua e arte sono nate, e si sono evolute, insieme. E insieme distinguono l’uomo dagli altri animali. Friedrich annotava nel suo diario “… l’unica sorgente dell’arte (di ogni arte) è il nostro cuore”. L’arte e la poesia, la scrittura, sono canti colorati di emozioni e sensazioni, con una origine comune. Esse ci ricordano che le parole del poeta e le pennellate del pittore sono entrambi segni. Segni visivi e segni sonori che la semiologia può indagare nelle reciproche relazioni astratte, ma che solo il cuore dell’artista sa esplorare nelle loro intime tessiture, man mano che si fa opera d’arte.
Uno dei problemi dell’immagine (specialmente se è una fotografia o una ripresa filmata) è che tendiamo a percepirla come “vera”. Cioè uguale a ciò che vedremmo se fossimo lì a guardare con i nostri occhi. Non lo è mai. È sempre, in qualche modo, un’interpretazione. È importante imparare a “interpretare” le immagini (come le parole) collocandole nel giusto contesto per capire qual è il loro reale significato.
Ogni strumento espressivo, di comunicazione o di informazione, deve essere usato secondo il suo ruolo e la sua funzionalità. E quando si combinano parola e immagine (e anche altre forme espressive) se le loro interazioni sono ben congegnate, con una efficace “regia”, l’insieme può essere molto efficace. Ma se ci sono distonie il risultato è confusivo, sgradevole, impenetrabile, anche quando non è intenzionalmente menzognero.
Se non è pensabile umanità senza parola e senza arti figurative, non è neppure concepibile senza poesia. Anche quando la poesia non è legata a precise metriche, è comunque una forma espressiva in cui il suono e il ritmo, l’armonia e l’emozione, contano quanto il significato delle parole.
A partire dal Romanticismo, molti sono i poeti che si sono ispirati a certi dipinti e viceversa. Pittura e poesia si servono di mezzi diversi (la forma e il colore da una parte, il significato e il suono dall’altro) che possono essere messi a confronto. È nella pratica, nel vivo del fare artistico, che si accende il confronto.
Baudelaire fu il primo a sentire la realtà come un “Tempio vivente”. Rimbaud si spinse sino a trovare corrispondenze sinestetiche tra vocali e suoni. Orazio fu il primo che decretò la diatriba ancora esistente fra poesia e pittura con l’affermazione “Ut pictura poesis” (la poesia è come la pittura).
Un buon poeta riesce a dare concretezza alle cose attraverso quell’astrazione verbale che dalle cose è apparentemente distante. La reazione sarà varia e molteplice. Pittura e poesia, pur essendo arti profondamente diverse, rispondono alle medesime esigenze dell’uomo, cioè ad esprimere i propri sentimenti, ideali, sogni.
In molte opere la pittura è accompagnata da poesie calligrafate dall’artista oppure lo spazio pittorico viene progettato in modo tale che scrittura e immagine si uniscano per completarsi a vicenda. L’immagine e la parola insieme per decifrare l’animo dell’uomo. Segni, colori, forme che nella poesia e nella pittura si fondono per dare significato all’interiorità di anime che vagano fra i misteri dell’arte.
Che cosa accade quando si mescolano parola e immagine e poesia. Quando sono in armonia possono migliorare la qualità della comunicazione. Ma spesso sono discordi e confusive. Perciò maggiore responsabilità deve avere chi le mette insieme, per evitare di truccare o di sbagliare. E maggiore attenzione deve avere chi vede, legge o ascolta, per evitare di confondere il condimento con la sostanza. Nel passato ci sono stati artisti per cui dipingere e scrivere erano l’uno dentro l’altro. È il caso di Munch che con la straordinaria capacità di immergersi nella materialità sinestesica, capacità di cui sarà portavoce l’arte a lui successiva, la scrittura sa farsi carico almeno quanto la pittura. E se già in Van Gogh, per citare un esempio, le lettere attestano un’insospettata capacità di scrittura, in Munch quest’ultima raggiunge livelli sorprendenti.
Volendosi limitare a pochi accenni, occorre prima ricordare che Munch ancora una volta attinge a stili e idee di suoi contemporanei. In questo caso, la spinta decisiva gli venne dalla frequentazione parigina della casa dell’appassionato d’arte William Molard, a cui Paul Gauguin, prima di recarsi a Tahiti, aveva lasciato le incisioni di prova per il romanzo-racconto Noa Noa. Dunque Munch ebbe modo di vederle, e di attingere lì la rinnovata speranza di pubblicare lui stesso un’opera composta da parole e immagini.
Munch anche in letteratura, come già in pittura, sognava un’opera complessiva, e che forse più di tutto abbinasse parola e figura, segno e immagine. In una lettera rivolgendosi allo svedese Ragnar Hoppe, storico dell’arte, Munch parla dell’intento «…di raccogliere in un insieme gli appunti… che io chiamo diari dell’anima, e occorre tempo – provo a organizzarli, ma non so che cosa ne verrà fuori». Nel testamento stilato nel 1940, donerà tutti gli scritti al comune di Oslo, diari, lettere, e poi romanzi con immagini inframmezzate, precisando che il «…giudizio di esperti deciderà se e in quale misura debbano essere pubblicati».
Munch agisce a due livelli: sulla parola come traccia grafica, e poi sul linguaggio, sia nella sua struttura sia nell’incedere narrativo.
La parola come traccia è da lui «lavorata» in due modi: a volte ricorrendo al formato e al colore, poiché spesso parole o frasi sono scritte in caratteri maiuscoli e con tinte a matita; altre volte invece la parola è collocata in risonanza con un’immagine. Ecco perciò parole apposte sopra o sotto la figura, oppure dentro a essa ma nel «riquadro» di un unico elemento compositivo, ad esempio nel vano di una porta spalancata, come nel disegno Separazione. O ancora, parole situate dentro al foglio in forma sparsa, in casuale sovrapposizione alle immagini, ad esempio su uno sfondo di volti e occhi, come nel disegno Uno sguardo misterioso.
Quanto invece alla struttura del linguaggio, Munch insiste con il ricorso a trattini che scandiscano il testo, ma altrettanto fondamentali sono il frequente passaggio dalla prima alla terza persona, con l’impiego di alter ego denominati spesso riferiti a se stesso, e infine il riaffiorare di medesimi episodi e ricordi, per esempio i conflitti con le amanti, o le morti e malattie che costellano la vicenda familiare. Ne risulta una narrazione ogni volta diversa e variegata i cui riferimenti spaziotemporali svaniscono in un ripetuto sovrapporsi di passato e presente, realtà e sogno, autoconfessione e illusione.
Ancora in tema di osmosi tra immagine e scrittura, sappiamo che Munch utilizzava l’attività diaristica, i collage di immagini e parole, come fonte aspirativa per i dipinti, quasi un composito zibaldone. Anzi, egli spesso riusciva ad affidare la violenza dei vissuti dapprima unicamente alla parola scritta, per poi soltanto al termine di questa liberazione, lasciarli sgorgare in un dipinto. Dipinti fondamentali come Disperazione e L’urlo sono nati da enunciazioni in forma scritta.
In Munch parola e immagine non giungono allo stesso esito. La scrittura è l’ampia incubazione dove il suo corpo di ricordi dolenti, deposita le espansioni, nell’attesa di una prima metamorfosi. Questa sembra estrarre dai conflitti della sua vicenda personale pochi nuclei saturi e impellenti. Si pensi alla severa e oppressiva educazione ricevuta in famiglia, incarnata dal padre, in conflitto però con l’acceso istinto di autoaffermazione. Fondamentale anche l’incontro-scontro, impersonato dalla donna e dalla sua immagine pittorica o letteraria, tra le componenti spirituali e sessuali.
Di queste e altre tensioni già la scrittura testimonia il contrasto. Ma è poi soltanto la pittura a generare, nell’incisività della figurazione, l’intuizione di una sintesi.
Probabilmente per questo motivo gli scritti di Munch non hanno mai ottenuto, una completa sistematizzazione, perché questa è qualità esclusiva della sua pittura. La scrittura sembra invece ancor più dominata da un carattere mai definitivo, in gestazione. Scrittura o pittura, il percorso artistico sospinge Munch, la sua personale difficoltà di vivere, in un vero aldilà creativo, consentendogli di oltrepassarsi, di essere altro da sé, di sorreggersi e trasformarsi. Quasi una «terapia», la prima e unica CURA: l’arte.
Così l’arte si dibatte tra l’utopica fusione della poesia, scrittura e pittura… L’importante è creare, poiché la creazione è la luce di ogni anima nella notte dell’esistenza, lacrime dal cielo che colorano la vita con i loro lampi nella notte oscura, un miracolo atemporale che supera ogni conflitto, barriera, religione per diventare l’unica legge universale fra gli uomini.
Maria Tripoli