Scomparsi di domenica

Posted by on May 11th, 2013 and filed under Cultura. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Quando io ero bambina, e lasciamo perdere la data precisa (di sicuro molto prima del ruggente 68), i bambini alla domenica mattina non venivano lasciati in pace a riposare nel loro letto per rifarsi delle levatacce infrasettimanali e dell’affannato correre da un corso di danza a uno di lingue, cosa che per fortuna ci erano risparmiati, ma svegliati a un ora di pochissimo successiva a quella solita e inviati alla Messa del Fanciullo.

A dire la verità quasi nessuno dormiva di più, alla domenica: non le padrone di casa che dovevano allestire lo speciale pasto domenicale né i padri che uscivano non si sa bene perché a una certa ora e ritornavano con il vassoio di dolci per l’ora di pranzo.

Generalmente mogli e mariti si incontravano alla Messa delle undici (quasi tutti i mariti in realtà), ed era qui che a ogni cambio di stagione venivano sfoggiate le nuove toilette. 

La Messa del Fanciullo era invece celebrata alle otto e mezzo del mattino e, qualsiasi fosse il tempo atmosferico che si doveva affrontare, si era lavati, vestiti e cacciati in strada in tempo per arrivare puntuali.
Non era divertente lasciare un letto caldo in una domenica di pioggia, ma… c’era un ma!

Prima di affrontare i rigori della stagione, ma poi anche d’estate, si aveva diritto a uno speciale bonus: un altro rito precedeva quello che si sarebbe officiato in Chiesa, ed era quello di indossare l’Abito della Festa!
In questi anni di troppo di tutto, nei quali un ragazzino sceglie al mattino cosa indossare del suo fornito guardaroba e le maestre invocano il ritorno del grembiule per porre fine alle sfilate di moda in classe, sembra strano ricordare che in quegli anni noi avevamo un vestito speciale da indossare soltanto una volta alla settimana e soltanto per poche ore. E invece era proprio così.

Il vestito della domenica veniva tirato fuori dall’armadio mentre ci stavamo lavando; poi la mamma ci aiutava a indossarlo con cura particolare. Ci infilavano un cappotto altrettanto speciale e le scarpe un po’ scricchiolanti, alle quali a volte si doveva rinunciare se il tempo era particolarmente piovoso; allora quelle di tutti i giorni sembravano quasi vergognarsi sotto a quegli abiti così eleganti: noi di sicuro ci vergognavamo. Mal comune però era mezzo gaudio poiché, in materie di pioggia e di scarpe, tutte le mamme la pensavano allo stesso modo.
Il vestito della festa in genere durava un’intera stagione (a volte se ne riceveva un altro a Natale, ma era davvero raro), e quando te lo mettevi sembrava avvolgerti la pelle in un’aura fantastica. Sembrava sempre nuovo, fresco, speciale anche a marzo dopo che lo portavi da ottobre, anche a settembre dopo che lo portavi da maggio.
Era quel suo apparire soltanto per poco tempo in un giorno in cui non si andava né a scuola né al lavoro, e quel suo essere riposto alla fine di quella giornata diversa che lo rendeva magico.

A volte una visita dal dottore poteva giustificarne l’uso in un giorno feriale o in qualche occasione ancora più strana, altrimenti quando prendevi le tue cose di tutti i giorni lo vedevi là appeso, e sembrava quasi luccicare per la promessa che portava con sé.
D’estate era sempre di un colore pastello, con la gonna arricciata, il punto smock sul corpino e un fiocco enorme dietro. D’inverno variava: ricordo un completo formato da una gonna a pieghe scozzese verde e marron, un pullover marron, una camicetta verde tenuo bordata di pizzo valenciennes e un fiocco di velluto marron al collo come una cravatta. Non so perché mi sia rimasto impresso più di altri, forse perché quell’anno mia sorella ne indossava uno simile e il suo era sui toni del blu e dell’azzurro, e a me piaceva di più.

In questi tempi di H & M, Zara e quant’altro, l’idea di un vestito conservato e curato per un giorno alla settimana sembra assurda, eppure valeva non soltanto per i bimbi ma anche per gli adulti. Questo comportava che l’acquisto di un simile capo fosse discusso e meditato, e che ogni donna – anche di classe sociale non elevata – avesse perciò delle conoscenze approfondite in materia di tessuti e rifiniture nonché degli alti standard di richieste. Poi magari le disponibilità non erano all’altezza, e allora la rinuncia era consapevole, non dettata dai pifferai della moda.

Col tempo, il vestito buono – per usura o per essere divenuto stretto – passava a essere un vestito di tutti i giorni, e allora la sua magia svaniva; il suo fulgore non faceva più rilucere l’armadio ogni qual volta veniva aperto, e l’ex prezioso indumento finiva i suoi giorni sotto al grembiule di scuola: del proprietario originario o di un fratello.
Bene! Due grandi scomparsi in una volta: il pranzo domenicale e il vestito della festa!

Soltanto la mia generazione resta a ricordare il profumo di cibi particolari della domenica mattina: aglio e rosmarino per il vitello arrosto mi danno ancora l’allegria e poi c’era quella sensazione di orgoglio, di ordine e di festa che l’indossare quegli indumenti preziosi mi dava al risveglio.

Sono sensazioni dovute alla non assuefazione, al non avere troppo, che oggi potrebbero sembrare qualcosa di triste e di simile alla privazione…
Ma oggi… per cosa si prova qualcosa cosi?

 

Bruna Mainardi

 

Comments are closed

È vietato l'uso delle immagini e dei testi non autorizzato.
© 2016 Associazione Akkuaria
Associazione Akkuaria Via Dalmazia 6 - 95127 Catania - cell 3394001417
Registrata Ufficio Atti Civili di Catania il 3 maggio 2001 al n.ro 6010-3 - C.F. 93109960877
scrivi a: veraambra@akkuaria.com