L’Italia piange un gran campione. Scompare a 61 anni, oro nei 200m a Mosca ’80, primatista mondiale della specialità dal ’79 al ‘96
C’era una volta un atleta… Questo il possibile incipit di una di quelle favole che coronano i sogni di tanti uomini che, da un momento all’altro, si ritrovano a lottare per realizzare e confermare ambizioni che apparivano remote.
Pietro Mennea, un uomo, un simbolo: un ragazzo di soli ventisette anni che oltre a un oro mondiale si ritrova detentore di un record. Ma facciamo un passo indietro: il 28 Giugno 1952 nasceva a Barletta, nel tacco dello stivale. Un eroe ben lungi dal tipico bellimbusto della mitologia greca, bensì un semplice “terrone”, scuro di carnagione.
Ed ecco che inizia il grande debutto internazionale, avvenuto nel 1971 in occasione degli Europei di Helsinki, dove si piazza al sesto posto nei 200m e al terzo nella staffetta 4X100.
Finalmente a Monaco di Baviera, l’anno seguente, ottiene la prima medaglia, un bronzo, nei 200m. Leggermente meglio le Universiadi di Mosca ’73 con bronzo nei 100m e oro nei 200. Ma il primo appuntamento con la vittoria di rilievo arriva agli Europei di Roma ’74, dove migliora i risultati precedentemente ottenuti: sale sul gradino più alto del podio nei 200m e strappa un argento nel 4X100 e uno nei 100m, alle spalle del sovietico Borzov.
Dopo una deludente performance nei Giochi olimpici di Montréal del ’76, dove chiude senza medaglie, nel ’78 trasforma gli Europei di Praga in un ennesimo trampolino di lancio e ottiene il double 100-200. Poi la storia riscritta con Città del Messico e le Universiadi del ’79, arriva il Record Mondiale nei 200m con un tempo di 19″72. Ci prende gusto e non si ferma più: 1980, Olimpiadi di Mosca, è oro nei 200.
Comincia da qui l’inizio della fine: flop agli Europei di Atene ’82, e solo medaglie d’argento e bronzo nei mondiali di Helsinki ’83. Infine, l’insuccesso a Los Angeles ’84 sancisce il ritiro dalle piste. In tutto cinque finali olimpiche, 528 gare per 52 presenze in Nazionale.
Pietro è riuscito in qualcosa di straordinario, con un record battuto diciassette anni dopo solo da Michael Johnson ai Trials di Atlanta ’96 (19″32). La “Freccia Rossa del Sud” aveva un fisico apparentemente normale: asciutto, 178cm per 68Kg, insomma, un vero atleta.
Mennea non è un semplice campione, ma un uomo che si impegnava per la promozione dei valori sociali a livello nazionale e internazionale, un vero sportivo a 360°. Come pochi altri campioni riesce a laurearsi, e ben quattro volte: Giurisprudenza, Scienze politiche, Lettere e Scienze motorie; è stato docente universitario presso l’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara. Ma dopo l’ottava corsia di Mosca e il ritiro, non c’è posto per lui dietro una scrivania: il suo fare spigoloso, il modo diretto nel fare e nelle parole, l’impulsività non lo aiutano ad accattivarsi i favori dei “vertici” dirigenziali, che ben presto, stanchi delle sue continue uscite, non si fanno problemi a spingerlo verso un’altra professione.
A un certo punto, finiti tutti i ritorni possibili, aveva cominciato a non sopportare l’atletica. Qualcosa di strano, come se si fosse convinto che quell’impegno, quelle corse, gli avessero portato via tutta la vita che c’era. Una porta chiusa in faccia da parte di quei pezzi grossi, che un tempo lo avevano idolatrato, mai digerita dal velocista. Del resto, se in occasione dei Giochi olimpici di Londra gli è stata dedicata una stazione metropolitana, e se Borzov si commuove al pensiero degli interminabili duelli, qualche motivo dovrà pur esserci. Ancora una volta l’Italia piange tardi una sua gloria: gli stessi che negli anni l’hanno rinnegato, oggi piangono la morte dello sventurato.
Uno dei primi a impegnarsi sul fronte doping (libri, denunce, proposte di legge), e per questo, considerato un semplice brontolone. Era stato insignito dal Presidente della Repubblica Pertini del titolo di Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana, il 27 settembre 1979 e di Grande Ufficiale Ordine al merito della Repubblica Italiana, l’11 settembre 1980. Mennea era malato di un male incurabile, con il quale combatteva già da un po’ di tempo e che sperava di superare. Aggravatosi di recente, il 21 Marzo si spegne a 61 anni presso una clinica della Capitale.
Come stabilito dal Presidente del Coni, Giovanni Malagò, la camera ardente verrà allestita presso il salone d’onore della sede del Comitato Olimpico Nazionale. I funerali si terranno il 23 Marzo presso la basilica di Santa Sabina, sul colle Aventino. Ruggiero, cugino del velocista, dichiara: “Era la sua ultima sfida, era malato da giugno ma l’ha tenuto nascosto perché avrebbe voluto raccontare questa sua vittoria”. Le FS intitoleranno alla “Freccia Rossa” nazionale un treno Frecciarossa 1000, pronto in fabbrica AnsaldoBreda il 27, e che sfiorerà sfiorerà i 400 km/h.
La FIDAL esprime il proprio cordoglio tramite un comunicato che recita: “”L’atletica italiana, nel pieno di una profonda commozione, esprime pubblicamente il proprio cordoglio, per la morte di uno degli uomini che più hanno saputo onorarla, raggiungendo successi sportivi, vette di popolarità ed ammirazione in tutto il mondo, come pochi altri nella storia dello sport italiano“.
Particolarmente toccanti le parole di Novella Calligaris: “Ha dimostrato che il muscolo numero uno si chiama cervello e che quando quello funziona si arriva anche dove neppure gli scienziati sanno spiegare“. Livio Berruti lo ricorda così: “Scompare un asceta dello sport, interpretato sempre con ferocia, volontà, determinazione. Mennea è stato un inno alla resistenza, alla tenacia e alla sofferenza. All’atletica italiana manca questa grande voglia di emergere e di mettersi in luce. Tra noi c’è stato un rapporto molto dialettico: per lui l’atletica era un lavoro, io lo facevo per divertirmi; lui era pragmatico, io idealista. Il nostro è stato uno scontro, come tra Platone e Aristotele”.
Una battaglia che non è riuscito a vincere, quella contro la malattia. Ed oggi un po’ tutti quelli cresciuti nella generazione del “Ma quanto corri… Chi sei? Mennea?” sono un po’ più tristi…
“Gli atleti sono l’ultima ruota del carro, fanno già moltissimo. È il Paese a essere vecchio” – Pietro Mennea
Marco Fallanca