Presso i locali dell’Oste Scuro, un noto ristorante di Acireale, in provincia di Catania, con la direzione artistica dello scrittore filosofo Salvatore Massimo Fazio, si è svolto il secondo appuntamento della rassegna letteraria “A cena con l’autore” che vede nomi d’élite del panorama letterario poetico e narrativo siciliano.
A CENA CON L’AUTORE nasce su e per volontà dello stesso direttore artistico per coniugare il piacere di pasteggiare cibi tipicamente siciliani alla cultura isolana. Una forma di dialogo e conversazione, con la lettura e le interpretazioni di testi di autori siciliani, dove un moderatore con l’autore e con l’intromissione del direttore artistico si racconteranno dalla propria attività artistica alla ispirazione dell’opera che presentano ad improvvisate letteraria ad moment. Un binomio brillante e accattivante che vede l’arte culinaria unita all’arte letteraria; lodevole attività in momenti di crisi, in cui i privati si vedono artefici di un rinnovamento culturale. L’accompagnarsi al cibo della nostra cultura, significa nobilitarlo e farlo diventare esso stesso un pezzo d’arte. Coniugarlo a un testo letterario o poetico esprime un avvicinare il pubblico con rinnovato interesse colloquiale alla nostra cultura siciliana, sia poetica che narrativa e letteraria. Una bella trovata in un paese che non legge, in cui il lusso della lettura appartiene a pochi eletti.
La serata del 27 febbraio è stata dedicata a Vera Ambra che ha presentato il suo libro autobiografico “Re o Regina”. Parlare di Vera Ambra significa descrivere il ruolo delle donne in una Catania sonnecchiante degli anni ’70 in cui la protagonista tesse la sua vita tra mutamenti storici e sociali che percorrono i decenni.
Una autobiografia è sempre una mappa dell’anima in cui s’indaga la propria personalità, un’analisi interiore in cui i frammenti sepolti riaffiorano per esorcizzare un cammino e riannodarlo a un oggi vissuto intensamente. Io sono il Vulcano, dice Vera all’inizio, figlia dell’Etna, guerriero silenzioso, precisando poi in chiusura che il guerriero silenzioso è proprio lei, che ha saputo affrontare le intemperie e le avversità della vita, uscendone vincente e protagonista. La scrittura dunque per recuperare se stessi, per raggiungere il nucleo della propria individualità, la scrittura per ancorarsi al presente, al proprio essere unici. La scrittura come medicina salvifica alle ferite della vita, dell’esistenza di donna che si è emancipata con la cultura attraverso la poesia e la scrittura, un viatico per ricongiungersi alla bellezza del mondo, oltrepassando l’oltre della propria coscienza, sublimandosi nella catarsi dell’anima che trova la sua redenzione nell’arte. Un percorso non facile che ha visto nei decenni Vera Ambra, interprete attiva di un rinnovamento della cultura non solo catanese, anche attraverso la sua casa editrice Akkuaria, che da oltre dieci anni porta la poesia e la scrittura nel mondo, da sola e con le sue uniche forze. Se dovessi scegliere alcuni aggettivi per descrivere questa “piccola” (solo di statura) donna, la definirei fiera, coraggiosa, passionale, autentica, in una parola VERA più del vero.
In “Re o Regina” Vera, col rimpianto di non essere nata maschio, quindi Re e protagonista indiscussa della vita, attraversa con dignità le difficoltà che una donna, non ancora Regina, percorre con maestosa bellezza interiore, sin da piccola già adulta, di chi è stato costretto a crescere precorrendo i tempi: “avevo imparato a non chiedere aiuto”. Molti i temi d’interesse toccati dall’autobiografia, dai problemi quotidiani, della scoperta dell’amore e dei suoi tradimenti, il matrimonio come valore unico ma con le sue problematiche, dell’educazione dei figli, dell’interesse per la natura, la politica, il sociale. La casa coniugale come triste metafora della vita: “era malmessa e devastata a tal punto che pareva somigliarmi. Però nessuna di noi due era ancora crollata. Eravamo sì danneggiate da tutte le parti, ma ancora solide e tutte e due in piedi”. E ancora: “Io non ero più l’ape portatrice di miele e la nostra casa non era più un nido accogliente. Era un luogo spoglio, uno spazio sporco, un luogo dove tutto era caos e disordine”. In uno stato di anestesia mentale e interiore la protagonista affronterà i problemi e i drammi della propria vita attraversandoli con magnifica leggerezza, quasi regale nella sua fiera odissea di donna sola, con i figli che diventeranno antidoto ai veleni, unica ragione per sopravvivere ed andare avanti, anche quando non hai nemmeno un tozzo di pane per sfamarti. Bellissime le pagine in cui spiega ai figli il valore delle cose e del denaro attraverso il gioco che diventerà una palestra di vita, un espediente per affrontare e rendere piacevole una vita difficile. Grande lezione di vita e di pedagogia in cui insegnerà ai figli come essere liberi e responsabili, vincendo le paure e le fobie di questa nostra umanità a volte disumana. Vi ricordate come Benigni fa superare la paura del campo di concentramento al figlio? Il gioco è l’espediente magico e surreale che serve nella quotidianità per rendere accettabili brutte ed orride realtà. Da qui in poi il volontariato e l’accostarsi al disagio, attraversando il proprio, diventeranno la ragione di vita di Vera che accompagneranno una porzione ampia della sua vita. La storia di Giovanna, raccontata nel libro, diventa l’emblema del disagio e dell’aiutare gli altri, senza aspettare nessun tornaconto. Allo stesso modo i bambini dei quartieri a rischio di Catania troveranno in lei e nello sport una valida alternativa alla strada; lo sport come salvezza e riscatto, attività che consente di ripartire da una vita negata e da sollecitazioni esterne pericolose. Toccante e intenso questo libro ci offre molti spunti per riflettere e per camminare su una strada dell’esistenza senza incertezze, ma con l’immenso amore per ogni aspetto della vita.
Grazie per la bella serata Vera, in cui ti sei messa a nudo senza reticenze, svelandoti a un pubblico attento ai sapori autentici della vita.
Maria Tripoli