Il mondo dei cantastorie ci affascina ancora e tanto anche ai giorni nostri, in tempi cioè in cui mezzi di comunicazione di massa sempre più tecnologicamente evoluti e numerosi si presentano prepotentemente alla nostra attenzione.
Il territorio della provincia etnea è stato ed è un’operosa fucina dalla quale valenti artisti di questo settore sono venuti alla ribalta e hanno raggiunto ampi consensi e grande popolarità.
Folta è ancor oggi la schiera dei cantastorie in attività e quelli operanti si differenziano finanche tra di loro perché prevalentemente essi indirizzano la loro opera in settori diversi: genere popolare, soggetti religiosi, ambito sociale e altro.
Fra i poeti-cantastorie del recente passato riteniamo che una nota particolare meriti il quasi autodidatta Cicciu Busacca (1925-1989) di Paternò (Catania), il quale portando le sue composizioni nelle piazze, nelle televisioni e nei teatri raggiunse fama nazionale e internazionale. Vinse pure parecchi premi di prestigio.
Così il nostro si presentava: “Avvicinati amici, c’è Busacca / lu cantastorie cu lu parra picca, / quannu canta lu cori vi spacca, / e la so vuci a li ricchi s’ nficca…” e più avanti “…cantastorie sugnu di natura / sugnu Cicciu Busacca primiatu / e tutti li giurnali hanu parratu”.
A lui che nelle piazze si vantava di essere figlio di Paternò, la terra del sanguinello, il Comune ha intitolato una via della città.
Un valido contributo alla conoscenza della vita e dell’opera del Busacca ci è stato fornito dall’insegnante Nino Tomasello, il quale con grande amore e passione ha raccolto una notevole mole di documenti sull’attività del cantastorie. Inserito nel progetto di Un contributo per la Banca della Memoria, il lodevole studio ha poi preso forma nel suo libro “Cicciu Busacca”.
Nella prima parte del libro l’autore ci presenta la situazione sociale esistente nel periodo in cui lu primu cantastorie italianu operò e ci fornisce, inseriti nella storia nazionale, dei quadretti di vita relativi prevalentemente alla nativa Paternò ma che possono ben rappresentare tante altre realtà a essa analoghe, con qualche normale eccezione di personaggi o eventi veramente eccezionali. Il tutto teso alla conservazione della memoria storica di avvenimenti svoltisi negli anni post-bellici.
Alla rievocazione di diversi momenti di quel periodo l’autore ha chiamato anche un gruppo di amici affinché anche loro dessero un proprio personale contributo. Fra questi abbiamo scelto di segnalare gli apporti degli insegnanti Placido Sergi e Santa Navarria.
Placido Sergi nel 1973 ha scritto il libro “Tradizione e personalità nei cantastorie di Paternò”, nel quale ha ampiamente trattato della locale “Scuola”, alla quale hanno attinto parecchi altri valenti artisti passati pure in rassegna. Nel suo intervento all’interno di “Cicciu Busacca” egli mette in risalto la sensibilità del cantastorie nella costruzione delle sue “storie” ispirate dalla fantasia o attinte dalla cronaca.
In questo suo testo il Sergi ha riportato il testo della bella poesia “Littra”, forse ancora inedita a quel tempo e pregna di sentimento e nostalgia. Il fatto poi che il Busacca poeta abbia per questa sua composizione attinto a qualche testo della tradizione popolare, come sostenuto da qualcuno, nulla toglie al valore della stessa, anche se dovesse trattarsi soltanto di una sua rielaborazione. In questo libro del Sergi è prevalente l’analisi critica dei testi trattati dai vari cantastorie esaminati.
Santa Navarria ci colpisce per la freschezza del raccontarsi con sbarazzina disinvoltura, nel rievocare gli anni della fanciullezza: la vita nei cortili e le scappate insieme ai compagni di gioco verso “’a Urna” (la piazza Regina Elena), piazzetta deputata a ospitare i cantastorie. In essa i ragazzi, contendendo agli adulti i primi posti, si attardavano ad ascoltare incantati i racconti, del tutto dimentichi dell’ansiosa attesa delle loro madri.
Questo, ad esempio, era uno degli inizi utilizzato dal cantastorie per attirare spettatori e indurli a restare, anche se in piedi, per un tempo variabile da una a due ore, incuriositi e coinvolti: “Avvicinàti amici avvicinàti, / Cicciu Busacca canta e lu sintiti, / voli ca lu cartellu taliati / ca ogni quatru ‘na scena viditi / e sulumenti a sintirlu cantari / li lacrimi di l’occhi fa scappari”.
E quando l’incanto giungeva al termine la formula conclusiva della recita, con qualche opportuna variante adattata al caso trattato, erano i versi: “Li ricchi riturnati a li casini / li poviri turnati ‘nta li tani / e iù mi portu li sacchetti chini / ca tutti travagghiamu pi li grani / e tutti vi purtati ntra la sacca / li storii cantati di Busacca”.
Di Cicciu Busacca l’autore segue cronologicamente la vita e le opere; di queste ultime analizza con acume i contenuti artistici e poetici e li commenta con competenza e partecipata passione. Nino Tomasello ci racconta, tra l’altro, che l’esordio di Busacca avvenne nel 1951 a San Cataldo con “L’assassiniu di Raddusa”, per il componimento del quale prese spunto da un fatto di cronaca molto eclatante: “Si m’ascutati nobili signuri / na puisia vi vogghiu cantari. / Si tratta di difisa di l’onuri / ca li larmi di l’occhi fa scappari / sta storia daveru priculusa / lu fattu bruttu successu a Raddusa”.
La scelta di quel paese, lontano dalla sua Paternò, fu fatta per un motivo ben preciso: in caso di fallimento, essendo lui in quel luogo del tutto sconosciuto, nessuno lo avrebbe saputo. E invece fu un successo clamoroso, tale da indurlo ad abbandonare il sicuro lavoro che già aveva e a iniziare l’attività di cantastorie.
Utilissima per entrambi fu la collaborazione, dal 1953, col poeta Ignazio Buttitta (1899-1997), del quale nel 1963 portò a grandissimo successo nazionale “Lu trenu di lu suli”.
Il testo è la poetica rappresentazione del dramma nel quale si racconta l’amara storia di un emigrante: “Turi Scordu, sulfataru, / abitanti a Mazzarinu; / cu lu trenu di lu suli / s’avvintura a lu distinu. / Cchi faceva a Mazzarinu, / si travagghiu non ci nn’era? / Fici sciopiru ‘na vòta… / e lu misiru in galera”. Salvatore Scordo perse la vita, insieme a 262 compagni di lavoro (di essi 136 erano italiani), nell’incendio della miniera di carbone a Marcinelle, nel Belgio, proprio mentre la moglie e i sette figli erano sul treno in viaggio per raggiungerlo e riunirsi a lui. La donna apprese la tragica notizia ascoltando la radio di un altro passeggero: “Un trimotu: «Me maritu! / me maritu!» grida e chianci,… / …si lamenta e l’ugna affunna / ntra li carni e si li scorcia”. Ancora più amaro fu il rientro in patria: “Va lu trenu nni la notti, / chi nuttata longa e scura: / non ci fu lu funirali / è ‘na fossa la vittura”.
Seguirono le esibizioni al Piccolo Teatro di Milano (nel 1956, in “Pupi e cantastorie di Sicilia”), al Teatro Stabile di Bologna, al Cinema Roma di Trento e in tanti altri teatri di tante altre città.
Un altro grande successo del Busacca fu il testo suo e del fratello Nino “Giuliano re dei briganti”, per il quale nel 1962 ebbe anche guai giudiziari: “Vogghiu cantari ccu sensu sirenu / tuttu chiddu ca fici Giulianu. / L’omu ca ppi sett’anni nenti menu / fici trimari sutta li so manu / e ppi diri ca Turi fu ‘mpurtanti, / lu ntitularu Re di li briganti”.
Seguirono anche tournèe in molti paesi europei, trasmissioni radiofoniche e televisive nazionali. Partecipò anche a spettacoli della televisione svizzera.
Importante per l’artista fu anche la collaborazione dal 1978 con Dario Fo ne “La giullarata”, in “Ci ragiono e canto” e nella “Guerra di popolo in Cile”. In parecchi spettacoli Busacca recitò assieme a Franca Rame.
Egli prese parte pure al film “Fontamara” di Carlo Lizzani (1980) e all’opera teatrale “La figlia di Jorio” di Gabriele D’Annunzio.
Nelle piazze e nei locali dove si esibiva Busacca metteva in vendita foglietti, libretti, dischi e musicassette contenenti i testi delle sue storie e le sue musiche.
I tanti successi e l’intensa attività non gli consentirono, però, di raggiungere, se non l’agiatezza, almeno quella serenità economica che avrebbe meritato. Gli ultimi anni della sua vita Busacca li trascorse tristemente quasi dimenticato a Castellanza, vicino a Busto Arsizio, dove, si ammalò e si ridusse in povertà, anche perché non percepiva alcuna pensione.
Furono vane, nei suoi ultimi giorni di vita, le sue accorate richieste di aiuto agli amici, come pure alcune male riuscite mobilitazioni per aiutarlo. Per lui stava per calare definitivamente il sipario, era giunto il momento di ripiegare il cartellone, posare la chitarra e congedarsi: “Cicciu Busacca vi stringi la manu / lu primu cantastorie talianu”.
Il quotidiano più diffuso in Sicilia nemmeno riportò la notizia della sua morte.
Il libro del Tomasello è stato edito nel 2002 dall’I.T.I.S. Cannizzaro di Catania, con il patrocinio della Provincia Regionale di Catania ed è rivolto principalmente agli operatori delle scuole siciliane.
Paolo Ziino