Un inferno ecologico nel Pacifico: l’apocalisse della plastica

Posted by on Feb 13th, 2013 and filed under Ambiente. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Tra la California e le isole Hawaii sta galleggiando fin dagli anni 50 un’isola di soli rifiuti! Un settimo continente delle dimensioni della penisola Iberica, caratterizzato da concentrazioni eccezionalmente elevate di plastica (palloni da football, kayak, sacchetti, fanghi chimici, rifiuti non smaltiti,  di lego e altri detriti intrappolati dalle correnti del Pacifico settentrionali)  e che secondo gli scienziati aumenterà sempre di più fino a compromettere irreversibilmente il micro habitat che si trova alla base dell’intero ecosistema oceanico.

Conosciuto anche come Grande chiazza di immondizia del Pacifico o Pacific Trash Vortex (Vortice di pattume dell’Oceano Pacifico), è situato  fra il 135º e il 155ºmeridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord ed occupa circa il 5% dell’Oceano Pacifico, per un totale di rifiuti, che si aggira dai 3 milioni di tonnellate della sola plastica ai 100 milioni di detriti totali e nel prossimo decennio  potrebbe raddoppiare le sue dimensioni, già nel 2006 ogni miglio quadrato di oceano conteneva 46mila pezzi di plastica galleggiante .

La più grande discarica del pianeta si è formata a partire dagli  anni cinquanta, grazie alla mano inquinante dell’uomo, per mezzo di una corrente oceanica, che è dotata di un movimento a spirale che consente ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro. Infatti nonostante le dimensioni e la densità, poiché degrada in polimeri sempre più piccoli che si trovano sotto la superficie marina, le particelle sommerse non sono visibili dalla fotografia satellitare, ma solo dalle imbarcazioni;  si trova infatti al di sotto della superficie marina, fra i pochi centimetri e i 10 metri di profondità ed è un problema comune anche al nostro Mediterraneo, seppure, almeno per ora, meno allarmante. La plastica è così abbondante che l’ambientalista David de Rothschild ne ha raccolta parte per riciclarla e costruirci un catamarano di 25 metri!

I rifiuti di plastica buttati in mare possono fare il giro del mondo finendo in uno qualsiasi dei cinque oceani, perché gli oceani sono strettamente connessi tra loro attraverso la cosiddetta Conveyor Belt o nastro trasportatore oceanico, una rete di correnti pressoché costanti che toccano tutti i continenti. Uno studio australiano mostra, per la prima volta, che giganti vortici oceanici, alcuni fino a 50 km, hanno contribuito alla migrazione di queste isole di plastica facendogli percorrere anche migliaia di chilometri.

La plastica oltre a causare danni diretti per ingestione a delfini, tartarughe e altri grandi animali, frammentandosi è ingerita da moltissimi organismi marini detti “filtratori”, per non parlare di tutta la fauna che accidentalmente si nutriranno tali lettiere! Le materie plastiche, infatti, fotodegradandosi possono disintegrarsi in pezzi molto piccoli, ma sostanzialmente non si biodegradano; i polimeri che le compongono possono così finire nella catena alimentare, perché queste briciole sono scambiate per plancton o altri tipi di cibo da molti animali marini. Pericolosi composti, come per esempio i policlorobifenili, possono entrare così nella catena alimentare e da qui raggiungere le tavole di noi consumatori.

L’Oceano Pacifico non è l’unico a ospitare un’isola di rifiuti, qualcosa di simile è presente anche nell’Oceano Atlantico, si tratta dell’Atlantic Garbage Patch, situata al largo della costa nord dell’America, che ricopre una superficie compresa tra i 22 e i 38 gradi di latitudine nord, la distanza che c’ è tra Cuba e Virginia! E si suppone che si stia formando un’isola di spazzatura più piccola all’interno del Circolo Polare Artico, nel Mare di Barents, anche se si presume che non apparirà prima dei prossimi cinquant’anni.

Da studi compiuti presso il Centro per l’eccellenza della scienza climatica  il problema è dovuto soprattutto all’enorme diffusione nel mondo dei sacchetti di plastica usa e getta, di cui si sta discutendo molto in Europa, ma che finora ha portato solo l’Italia a metterli definitivamente al bando. Infatti  la legge che dall’inizio del 2011 vieta la produzione e la commercializzazione di questi sacchetti è diventata un esempio virtuoso per tutto il resto dell’Europa.

 

Gabriella Pison

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