Il Trovatore

Posted by on Jul 31st, 2012 and filed under Spettacolo. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. Both comments and pings are currently closed.

Il TrovatoreSe un’opera dovesse essere apprezzata per la sola vicenda, forse Il Trovatore non avrebbe certo incontrato grandi consensi.
Infatti, una zingara che non si accorge di bruciare il proprio figlio anziché il bimbo rapito del Conte di Luna rasenta il grottesco.
Se poi aggiungiamo i versi del Bardare come:
Mira, di acerbe lacrime
Spargo al tuo piede un rio:
non basta il pianto?svenami,
ti bevi il sangue mio…
calpesta il mio cadavere,
ma salva il Trovator!

 
Il divertimento del pubblico sarebbe certo e altre opere sono cadute per molto meno.
Poi però interviene la musica di Verdi e tutto ciò che potrebbe destare ilarità, assume una dimensione squisitamente drammatica.
L’angoscia inizia con la canzone di Azucena “stride la vampa” dove racconta il martirio della madre. Fa seguito il racconto del figlioletto bruciato. La tragicità cresce fino a culminare con la frase “Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor!”. Con questa scena il personaggio è ben definito e gli conferisce un ruolo davvero predominante.
Gli schemi seguiti da Verdi sono sempre gli stessi: recitativo, cavatina, ponte, cabaletta e concertato finale, ma l’autore ci regala delle vere perle come la dolce, ma micidiale “Tacea la notte placida”, ma anche frasi come “Sei tu dal ciel disceso, O in ciel son io con te?” capace di far vibrare di emozione vera tutti gli appassionati.
Il coro “squilli echeggi la tromba guerriera” deve aver colpito Charles Gounod che nel suo Faust vi introduce un coro di militari simile(Oh gloria cinta d’allor).
Non si può parlare del “di quella pira” con l’abusivo do di petto, senza citare la cavatina precedente “ah! si, ben mio” che esprime tutta la tristezza di un uomo pronto a morire in battaglia al finir della notte, ma che vuole vivere intensamente quegli attimi. Questi versi così carichi di tenerezza:
 
Ma pur se nella pagina
Dé miei destini è scritto
Ch’io resti tra le vittime
Dal ferro ostil trafitto,
Fra quegli estremi aneliti
A te il pensier verrà
E solo in ciel precederti
La morte a me parrà!

Sono davvero struggenti e destano un sentimento di vera pietà per i due amanti che forse dovranno lasciarsi senza godere delle gioie terrene dell’amore e non resta loro che consolarsi con l’amore spirituale:
 
Vieni; ci schiude il tempio
Gioie di casto amor.
L’idillio è interrotto bruscamente da Ruiz che avvisa Manrico che la madre è prigioniera.
Lo spettatore spesso presta l’attenzione all’attesa del do di petto e gli sfugge il commovente amor filiale espresso dai versi:
Era già figlio prima d’amarti,
Non può frenarmi il tuo martir.
Madre infelice, corro a salvarti,
O teco almeno corro a morir!
In quest’opera Verdi ha dato ampio spazio a tutti i personaggi per poter esprimere il proprio carattere: dalla fedeltà di Ferrando, all’audacia del Conte di luna; dall’appassionato amore di Leonora, al valore di Manrico. Ma la vera protagonista è Azucena, personaggio pieno di contraddizioni. Tenera madre, che così si rivolge a suo figlio che ancora ferito vuol tornare a combattere:
No soffrirlo non poss’io…
Il tuo sangue è sangue mio!…
Ogni stilla che ne versi
Tu la spremi dal mio cor!
Ma anche donna austera e combattiva che incatenata, inveisce contro Ferrando e il Conte di Luna:
Deh, rallentate, o barbari,
Le acerbe mie ritorte…
Questo crudel supplizio
È prolungata morte…
D’iniquo genitore
Empio figliol peggiore,
Trema…V’è un Dio pè miseri,
e Dio ti punirà.
Alessandro Scardaci
Foto Giacomo Orlando 

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